Molte volte sembrava sul punto di essere firmato. In realtà, l’accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco a Gaza e la liberazione degli ostaggi molto probabilmente non si farà. Sia da una parte che dall’altra, spiega Vincenzo Giallongo, generale dei Carabinieri in congedo con all’attivo missioni in Iraq, Albania, Kuwait e Kosovo, vengono indicate richieste e condizioni che non si realizzeranno mai.
E anche le pressioni che gli americani ufficialmente stanno esercitando affinché si arrivi almeno a una tregua, fanno il paio con l’invio di armi a Israele e l’arrivo nel Medio Oriente della portaerei USS Lincoln, chiari segnali che Tel Aviv potrà continuare ad avere il sostegno USA nella guerra. Insomma, lo scenario è di un conflitto che rischia di continuare fino a quando Netanyahu avrà deciso di aver inflitto abbastanza perdite ad Hamas.
Anche l’Iran, nonostante sia tornato a minacciare ritorsioni contro Israele dopo l’uccisione di Haniyeh a Teheran, in realtà è conscio della sua inferiorità militare rispetto agli israeliani. Chi non si tira indietro, invece, è Hezbollah, che nelle ultime ore ha lanciato 150 razzi verso Israele.
Biden ha telefonato a Netanyahu per sollecitare l’accordo con Hamas. Un altro bluff?
L’accordo non si farà mai: Israele non vuole assolutamente che Hamas metta piede nel governo di Gaza e continuerà a presidiare parti della Striscia; Hamas, invece, non riconosce Israele e, appunto, vuole avere un ruolo nel governo di Gaza. Due modi di vedere incompatibili, per questo l’intesa non ci sarà. Tel Aviv proseguirà verso la distruzione totale di Hamas, almeno per il 70-80%, o comunque fino a una percentuale che soddisfi il governo israeliano. Anche se per gli anni a venire questo significa che ci saranno ancora degli attentati. Non vedo comunque la possibilità di una pace.
Netanyahu avrebbe incontrato il ministro Smotrich, secondo Times of Israel, per cercare di capire fino a che punto l’estrema destra che fa parte del suo governo è in grado di accettare un accordo. È anche per questo che alla fine non ci arriva? Nel suo esecutivo ci sono forze che non lo vogliono?
Netanyahu è il primo che non vuole la pace perché per lui vorrebbe dire andare a casa. Questo anche se i sondaggi lo danno in risalita: l’opinione pubblica, quando c’è una guerra, si stringe attorno al leader e mette da parte le difficoltà. Ma basterà poco e torneranno in auge tutte le critiche che gli sono state rivolte. Ricordiamo Churchill: ha vinto la guerra e non le successive elezioni.
Da più parti si sostiene ormai che i negoziati stanno fallendo, perché invece ufficialmente sia Biden che Blinken usano toni forti, spingendo perché si arrivi all’accordo?
Cercano di tranquillizzare l’opinione pubblica americana per venderlo come risultato anche della nuova candidata dem alla Casa Bianca. Proveranno fino in fondo a portare Israele ad accettare la pace. Anche se poi bisogna vedere se Hamas sarà dello stesso parere. La verità è che non ci credono tanto neanche gli americani, non per niente hanno inviato nella zona due portaerei, 50 aerei, un sommergibile. D’altra parte, non ci si può aspettare niente di buono neanche sull’altro fronte: Hezbollah ha appena lanciato 150 razzi verso il Nord Israele: non è il modo migliore per una pace condivisa.
L’unico modo degli USA per convincere Israele sarebbe non fornire più le armi?
In teoria sì, ma come fanno a non dargliele? Sarebbe un modo per impedire a Israele di continuare. Non perché gli israeliani non sappiano produrle: il più grande mercato delle armi a livello mondiale è in Israele. Il problema è che non è detto che riescano a farlo nelle quantità necessarie. Ma gli Stati Uniti non possono dire: “Non ti forniamo più armamenti e ti lasciamo in balìa dei nemici”. Non è una possibilità che potrebbe essere presa in considerazione, sarebbe una eventualità che andrebbe contro tutti gli interessi occidentali nell’area.
Non si potrebbe ricondurre Israele a più miti consigli, a un modo meno brutale di perseguire i suoi obiettivi militari?
Israele sta un po’ esagerando, anche se è brutto dirlo in questi termini. Anche Hamas dovrebbe fare un passo indietro: è molto più facile da tacitare. E se veramente il mondo arabo volesse, lo farebbe. È più facile controllare loro che non tacitare uno Stato intero. Il problema è che molti Paesi della regione sembrano più impegnati a non avere troppe seccature che a risolvere veramente la questione palestinese.
L’Iran intanto è tornato a minacciare una rappresaglia nei confronti di Israele sostenendo che potrebbe arrivare dal cielo, ma anche dal mare e dalla terra. Scatta nuovamente l’allarme escalation?
L’Iran continua a menare il can per l’aia e ancora non si è mosso. Sa benissimo che, se dovesse eccedere in un attacco, rischierebbe di prendere una batosta da cui non si rialzerebbe. Teheran non ha l’atomica, l’unica cosa che potrebbe consentire di incutere terrore nell’area. E tutti sono decisi a fermare il processo che potrebbe portare gli iraniani a costruirla.
Gli iraniani sanno di essere inferiori militarmente a Israele e quindi non si muoveranno?
Sì. Al di là dei droni, le truppe non sono addestrate e non hanno armamenti leggeri. Anche l’Iraq stava vincendo la guerra contro di loro, poi Saddam si è trovato senza uomini perché una grossa parte della sua popolazione era sciita e non voleva combattere contro l’Iran.
Teheran ha ricevuto pressioni da USA e Paesi europei per non dare il via all’escalation del conflitto nella regione. Ha subito anche quelle dei russi, alleati sul fronte siriano e destinatari delle forniture di droni usati in Ucraina?
Iraniani e russi sono sicuramente amici. Anche Mosca potrebbe aver detto all’Iran di non attaccare: la Russia ha già diversi problemi e non penso che voglia andarsene a creare altri. Devono pensare all’Ucraina, stanno cercando di espandersi in Africa: hanno altro da fare. E poi le ritorsioni si fanno nell’immediatezza dei fatti: gli iraniani dovevano rispondere subito dopo la morte di Haniyeh.
(Paolo Rossetti)
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