“Pronti a entrare a Gaza”. Lo ha ripetuto anche ieri il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Heri Halevi. Tutta la guerra tra Hamas e Israele sembra ruotare intorno a questo. Una operazione data per imminente da ormai due settimane, la vera risposta di Israele al massacro dello Shabbat compiuto dai miliziani di Hamas il 7 ottobre scorso.



Una decisione, spiega Giuseppe Morabito, generale con al suo attivo diverse missioni all’estero, fondatore dell’Igsda e membro del Collegio dei Direttori della Nato Defense College Foundation, che forse viene ritardata per dare la possibilità di sviluppare fino in fondo le trattative che hanno già portato alla liberazione di alcuni ostaggi.



Intanto resta alto il rischio di un allargamento del conflitto, anche con l’eventuale coinvolgimento dell’Iran, che potrebbe mandare unità scelte della guardia rivoluzionaria a combattere contro Israele, magari sulle alture del Golan, in Siria. Un’eventualità che potrebbe portare anche a una reazione delle forze americane.

Gli israeliani stanno ancora aspettando: perché?

In realtà, è una cautela che non mi sorprende. Sono molti gli aspetti da considerare, non ultimo quello degli ostaggi. Ricordiamoci che ne sono stati liberati due. Si tratta di cercare Hamas casa per casa. Anche per  questo l’organizzazione filo-iraniana ha cercato di non fare uscire i palestinesi dalla Striscia, perché li vuole usare come scudi umani e come impedimento alle operazioni degli israeliani.



I tempi saranno lunghi?

Oltre ad attaccare casa per casa gli israeliani dovranno spostare le macerie con i bulldozer. Per questo sarà un’operazione molto lenta e molto dispendiosa in termini di vite umane per entrambe le parti. Operazione in cui Israele rispetterà le regole della convenzione di Ginevra.

Con questa operazione gli israeliani possono davvero pensare di andare anche a liberare gli ostaggi? Hanno informazioni di intelligence tali da permettere la loro individuazione?

Hanno buone probabilità di capirlo. Non c’è improvvisazione: hanno definito nei dettagli come possono liberarli e sanno dove potrebbero essere.

L’allargamento del conflitto è un’ipotesi sempre più probabile? Soprattutto sul fronte Libano-Hezbollah?

Ci sono anche unità specializzate, d’élite, della guardia rivoluzionaria iraniana, ora impegnate in Siria contro l’Isis, che potrebbero rivolgersi contro Israele. È difficile, ma è un’eventualità che va tenuta in considerazione, un’ipotesi da non scartare.

Significherebbe un coinvolgimento diretto dell’Iran nei confronti di Israele.

L’Iran ha sempre fatto una guerra per procura armando sia Hamas che Hezbollah contro Israele, di cui vuole la cancellazione come Stato. Nel caso in cui delle sue unità entrassero in combattimento, ad esempio nel Golan, si tratterebbe naturalmente di un coinvolgimento diretto. Le unità della guardia rivoluzionaria iraniana, tra l’altro, sono quelle che probabilmente hanno aiutato Hamas a organizzare l’attacco terroristico contro Israele.

A catena la presenza diretta dell’Iran cosa comporterebbe?

Israele reagirebbe sicuramente. Poi bisogna vedere come reagiranno le portaerei americane che adesso sono lì per supportare Israele nell’interdizione delle acque al largo di Gaza, per impedire che arrivino armamenti via mare. A caduta potrebbe esserci una spiralizzazione del conflitto.

Quando si parla di allargamento della guerra i rischi principali riguardano Libano e Siria, due Paesi in profondissima crisi economica, politica e sociale. Come mai possono essere coinvolti, nonostante la loro situazione?

Sono in crisi ma si collocano nell’area di influenza dell’Iran, nella Mezzaluna sciita che parte dall’Iran e attraverso l’Iraq arriva fino al Libano. Sono Paesi supportati da Teheran, che consente a Hezbollah di controllare una parte di territorio del Libano e, insieme alla Russia, ad Assad di mantenere il potere in Siria.

(Paolo Rossetti)

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