L’accordo tra le parti prevederebbe tre fasi per rilasciare ostaggi e prigionieri e la fine della guerra, ma ormai il senso del dibattito in Israele e a livello internazionale sembra quasi esulare dalla liberazione delle persone rapite da Hamas. Lo dimostrano i due elementi politici che tengono banco mentre proseguono gli attacchi IDF nella Striscia: la richiesta di Israele di chiudere l’UNRWA, l’agenzia dell’ONU che aiuta i palestinesi finita nell’occhio del ciclone perché alcuni dipendenti hanno preso parte all’attacco del 7 ottobre, e la proposta, sostenuta in un convegno al quale ha partecipato mezzo governo Netanyahu, di ricolonizzare Gaza. Due temi sui quali l’Occidente sembra dare sostanzialmente via libera a Israele, non opponendosi di fatto a nessuna delle due opzioni.



La prima, spiega Filippo Landi, già corrispondente da Gerusalemme della Rai e poi inviato del Tg1 Esteri, significa che le Nazioni Unite, visto anche il rifiuto di diversi Paesi occidentali, Italia compresa, di rifinanziare l’UNRWA, non potranno più aiutare i palestinesi a Gaza, creando le condizioni perché lascino la Striscia; la seconda toglie i presupposti per uno Stato palestinese, che a parole Usa ed Europa promuovono come soluzione alla guerra.



I colloqui per un cessate il fuoco e per la liberazione degli ostaggi sembrano sempre più serrati. Quali sono gli elementi sul tavolo?

Le trattative sono riprese all’indomani dell’ordinanza della Corte di giustizia dell’Aja che ha dato un mese agli israeliani per fermare gli atti che prefigurano un genocidio, sia quelli militari come i bombardamenti su zone abitate e gruppi di persone, sia quelli che impediscono il pieno accesso a Gaza di cibo e farina e di una serie di facilities come l’acqua e la luce. La Corte ha ribadito anche la richiesta ad Hamas di liberare tutti gli ostaggi. Tutto questo ha riproposto a entrambe le parti la necessità di un cessate il fuoco diverso da quello che già c’è stato, che potrebbe comportare l’apertura di un percorso politico.



Questa trattativa potrebbe essere l’inizio di colloqui di pace, che tendono a trovare una soluzione della questione palestinese?

Toglierei la parola pace. Può iniziare una trattativa per un cessate il fuoco di più lunga durata, che può portare a uno sbocco diverso da quello che fin qui il governo israeliano sta perseguendo, cioè il controllo totale militare della Striscia di Gaza. Non c’è nessun confronto: le parti stanno cercando di mettere sul terreno le rispettive volontà, quella ribadita da Ismail Haniyeh per Hamas riguarda il ritiro delle truppe israeliane e la fine delle operazioni militari, mentre gli israeliani vogliono il completo controllo militare di Gaza.

Il dibattito, tuttavia, si sta spostando anche su altri aspetti, come la chiusura dell’UNRWA e la ricolonizzazione di Gaza. Come incidono sulla situazione?

Per Israele ci sono due elementi che possono paradossalmente portare a un cessate il fuoco di lunga durata: il primo riguarda l’iniziativa per la chiusura dell’UNRWA, l’agenzia dell’ONU che dal 1948 assiste i palestinesi a Gaza, in Cisgiordania e nei campi profughi di Libano, Siria e Giordania. Il confronto che c’è sul tema delle 12 o più persone dell’organizzazione ONU che hanno partecipato o appoggiato il 7 ottobre è un elemento secondario ma utile alla richiesta della chiusura. La sospensione dei finanziamenti all’UNRWA da parte degli USA e di alcuni Paesi occidentali (non tutti) sembra aver portato gli israeliani a un passo da questo successo. Significherebbe che da fine febbraio l’ONU non avrà più i soldi per aiutare i palestinesi, aprendo uno scenario di esodo volontario da Gaza.

L’altro elemento da tenere in considerazione qual è?

In un grande convegno organizzato dalla destra a Gerusalemme, cui ha partecipato metà del governo in carica, è stata affermata la ricolonizzazione di Gaza, con la partecipazione degli stessi soldati oggi presenti lì, come ha detto Ben Gvir. Un elemento politico che rappresenta un colpo durissimo a coloro che in Occidente hanno ripreso l’ipotesi di uno Stato palestinese comprendente la Striscia di Gaza, la Cisgiordania e Gerusalemme Est. Se passasse questa ipotesi la possibilità di un cessate il fuoco di più lunga durata per il governo Netanyahu sarebbe accettabile.

Queste condizioni però hanno tutta l’aria di non essere accettabili da parte di Hamas. Non è così?

C’è poco da accettare o rifiutare: se i governi occidentali, come hanno fatto negli ultimi vent’anni, di fatto accettano che l’UNRWA venga smantellata (e la sospensione dei finanziamenti va in questa direzione) e non compiono nessun atto politico nei confronti di Israele riguardo alla ricolonizzazione, se non vaghe proteste, Hamas non avrà la forza per impedire questa deriva.

Ma a questo punto l’organizzazione palestinese potrebbe accettare una tregua?

Dipende dal grado di debolezza di Hamas: se le interessa comunque sospendere gli attacchi israeliani per dare respiro alla popolazione e non pregiudicare il suo consenso a Gaza, potrebbe accettarla.

Ma quali condizioni minime si devono verificare per la tregua?

Una cosa è se in cambio del rilascio degli ostaggi, anche militari, Hamas otterrà di liberare non decine ma centinaia di prigionieri palestinesi, altro discorso è se si rimane su pochi palestinesi liberati: allora non se ne farà nulla. E Netanyahu ha rifiutato di liberare “migliaia” di prigionieri palestinesi. In questa trattativa ci sono elementi politici che interferiscono: la dichiarazione di Borrell (alto rappresentante Ue per gli Affari esteri, nda) secondo cui è un errore togliere i fondi europei all’UNRWA è un elemento che entra in gioco. È inimmaginabile che siano solo i Paesi arabi, la Nuova Zelanda e la Spagna ad aiutare i palestinesi di Gaza.

Il governo come affronta questa trattativa sulla tregua: è unito? All’interno dello stesso Likud, il partito del premier, sembra si stiano delineando posizioni diverse. È così?

In parlamento è stato detto chiaramente che l’UNRWA va eliminata e la presenza massiccia di ministri e parlamentari del Likud al convegno di Gerusalemme sulla ricolonizzazione di Gaza non è passata inosservata. È la conferma che la presa di Netanyahu sul suo partito si sta allentando: molti condividono le posizioni di Smotrich e Ben Gvir e questo ha un enorme peso politico. Tutto questo si riflette sulle trattative per la tregua e sul dibattito che riguarda il futuro.

La visione del futuro di Israele si sta esplicitando anche su altri aspetti, quali?

Il capo dello Shin Bet è andato al Cairo: si sta occupando non solo degli ostaggi, quanto del confine tra Gaza e l’Egitto. Una delle ipotesi è che gli israeliani assumano il pieno controllo di quel confine. Sembra strano che possa essere controllato da una sola delle parti, ma succede già sulla linea di confine provvisorio tra Gerusalemme e Betlemme, che vede i soldati israeliani da una parte senza che ci siano palestinesi dall’altra. Potrebbe accadere anche da Rafah fino al mare.

Ma come sarà la ricolonizzazione di Gaza, cosa intendono fare gli israeliani? L’Occidente la accetterà senza dire niente?

Può essere choccante per i Paesi occidentali, Italia compresa, dover affrontare la prospettiva di una ricolonizzazione di Gaza, che comporta l’affossamento di uno Stato palestinese. La ricolonizzazione ha tempi lunghi, si potrebbe cominciare fra sei mesi, nel frattempo c’è una presenza dell’esercito che si va consolidando. Le colonie a Gaza, prima del ritiro del 2005, erano entità agricole la cui forza era la produzione di ortaggi e frutta, erano villaggi a forte estensione, con villette mono o bifamiliari o a schiera, non c’erano grattacieli e palazzi. L’idea è di realizzare insediamenti tipo quelli, autodistrutti dagli israeliani al momento del ritiro.

La tregua si farà o no?

C’è un braccio di ferro, una trattativa vera. Potrebbe essere interesse sia di Israele che di Hamas di portarla a compimento, fermo restando che gli ostaggi ormai non sono più l’elemento dirimente della vicenda. Anche se dovessero essere liberati tutti, il futuro di Hamas si gioca su altre traiettorie, UNRWA e colonie a Gaza.

(Paolo Rossetti)

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