Se guardiamo alla storia di Gaza e, in generale della Palestina, è difficile non pensare a una vera e propria prigione a cielo aperto, di cui il Panopticon di Jeremy Bentham, il più importante filosofo utilitarista inglese, rappresenta bene lo schema di funzionamento. Il Panopticon, nell’interpretazione di Bentham, era stato progettato in modo da permettere alle guardie di osservare ventiquattr’ore al giorno i loro prigionieri ma non il contrario. La struttura dell’edificio era circolare e i carcerati erano lungo il perimetro esterno, mentre al centro del cerchio era stata posta una grande torre di osservazione. Questa architettura penitenziaria consentiva alle guardie di poter guardare nelle singole celle dei detenuti e quindi sorvegliare il loro comportamento soprattutto se questo poteva rappresentare un pericolo per la prigione. Qual era lo scopo educativo che si proponeva il filosofo inglese? Bentham era persuaso che lo sguardo delle guardie in questa prigione avrebbe costretto i detenuti a comportarsi secondo le regole della morale e delle norme giuridiche. Insomma questa prigione era il corrispettivo artificiale dell’occhio di Dio che tutto vede. I prigionieri non avrebbero potuto non provare vergogna di fronte a questo sguardo per i loro comportamenti moralmente deprecabili.



L’occupazione israeliana della Palestina è analoga: per accorgersene è sufficiente porre a confronto la struttura circolare del Panopticon con i criteri geometrici di imprigionamento della Palestina. A partire dal 1967 i palestinesi in Giordania e nella Striscia di Gaza sono stati posti in una condizione che richiama quella indicata dal filosofo inglese. Ma il cinismo del progetto consiste nel fatto che questa mega-prigione non era riservata – come nel caso di Bentham – ai prigionieri, cioè a determinati individui detenuti per determinati reati, ma era rivolta a una popolazione di palestinesi per il fatto di essere palestinesi. Solo apparentemente la mega-prigione costruita per i palestinesi permetteva loro una vita autonoma. In realtà la loro vita – ieri come oggi – è sotto un attento e capillare controllo da parte di Israele, controllo che si è concretizzato in punizioni e restrizioni, fino alla stessa eliminazione fisica. Inevitabile sarebbe stata la reazione, come infatti è avvenuto con le due intifade.



Fra i paradossi politici della situazione palestinese vi è il fatto che il piano di pace che è stato proposto sia dagli americani che dagli europei di fatto legittima questo sistema di prigionia a cielo aperto. Se in Occidente non vi è una percezione di questo genere dipende dall’efficace, complessa e articolata propaganda mediatica e accademica che ha saputo nascondere agli occhi dell’opinione pubblica mondiale la realtà. Presentare la vita palestinese a Gaza o in Cisgiordania come una vita costruita sulla libertà di espressione e di movimento è una colossale mistificazione. Termini come autonomia o autodeterminazione – per non parlare poi di indipendenza – sono termini che per il momento non hanno alcuna corrispondenza con la realtà.



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