Gli USA, la UE e l’Italia, alleati di Israele, stanno tuttavia chiedendo a gran voce al primo ministro Bibi Netanyahu di non dare il via all’operazione di terra a Rafah. Il motivo è evidente a tutti: basta guardare le immagini di 1,3 milioni di persone ammassate nell’area a sud della Striscia che dovrebbe essere colpita dall’IDF e che molto difficilmente potrebbero essere spostate in una tendopoli, come ipotizzato da Israele, per evitare che si trovino sotto il tiro delle armi. Probabilmente anche lo stesso premier israeliano sa che è impensabile attaccare Rafah, ma continua a dire che è una necessità, perché bisogna distruggere Hamas.



Dichiarazioni fatte forse per prendere tempo, per non inimicarsi la parte del suo governo, quella di Smotrich e Ben Gvir, che invece un’azione del genere l’ha già benedetta. Contro l’attacco a Rafah, d’altra parte, alla fine, c’è pure l’esercito. Anche la promessa di cancellare militarmente Hamas resta impraticabile. Per far fuori l’organizzazione palestinese, spiega Ugo Tramballi, editorialista de Il Sole 24 Ore e consigliere scientifico dell’ISPI, occorre una soluzione politica, dare ai palestinesi l’alternativa: uno Stato palestinese, naturalmente senza Hamas, garantito dalla comunità internazionale.



Il presidente del Consiglio Giorgia Meloni, dopo la presidente della Commissione UE Ursula von der Leyen, si oppone all’attacco israeliano a Rafah. Netanyahu ha tutti gli alleati contro?

Anche il governo italiano, alla scadenza del quinto mese di massacro, ha cominciato a capire che il diritto di Israele all’autodifesa, che tutti i Paesi del mondo hanno, ha comunque dei limiti. Ormai è evidente che l’operazione a Rafah è impossibile. Ci sono 1,3 milioni di persone che dovrebbero essere spostate di due chilometri in una tendopoli su una spiaggia vicina. È una follia. Secondo me nemmeno Netanyahu è convinto di fare una cosa del genere; anche i militari non sono d’accordo.



Il primo ministro, però, continua a dire che vuole sradicare Hamas. Continuerà a insistere su Rafah per questo?

Il compendio di tutti i servizi segreti americani, tra cui CIA, FBI, servizi segreti militari, hanno detto che Israele dovrebbe combattere cinque anni per sradicare Hamas dalla Striscia. Netanyahu vuole guadagnare tempo, anche perché è difficile pensare che i sauditi e gli egiziani, o comunque i Paesi arabi, costruiscano la tendopoli per mettere in sicurezza la popolazione palestinese per fare un piacere a lui. Il premier, però, deve accontentare la sua maggioranza di governo.

Non tutti, comunque, a livello politico, sono favorevoli all’operazione militare di Rafah. Quanto pesano queste divergenze?

In questo momento in Israele ci sono due governi in conflitto uno con l’altro: il gabinetto di guerra, dove ci sono i militari, gli ex capi di stato maggiore, che vogliono chiudere il conflitto, poi c’è il governo vero e proprio. Smotrich e Ben Gvir, per esempio, non sono nel gabinetto di guerra; se entrano loro, escono gli altri. Netanyahu ha rilanciato l’operazione di Rafah sapendo che, ammesso che si trovi chi porta le tende per i palestinesi e paga tutto quello che c’è da pagare, per portare a termine un’iniziativa del genere ci vogliono settimane. È evidente che non ci crede neanche lui. Non è pensabile, a meno che non vinca l’ala dura del governo. Ma credo che sarebbe difficile trovare d’accordo i vertici militari. Finora Israele ha bombardato Gaza disinteressandosi sostanzialmente di chi veniva colpito; adesso non lo può più fare.

Anche gli USA si sono finalmente convinti a dire di no?

Chuck Schumer, capo del gruppo democratico al Senato, l’ebreo americano con la più alta carica politica negli Stati Uniti, è stato molto duro nel dire che bisogna togliere di mezzo Netanyahu. La pressione americana è fortissima e il primo ministro non può mettere definitivamente gli USA contro Israele; non glielo perdonerebbero.

Le prese di posizione della von der Leyen e della Meloni sono frutto di una concertazione NATO o l’iniziativa di chi si è reso conto dell’impossibilità di agire a Rafah secondo i programmi israeliani?

Tutte e due le cose. È troppo evidente che ormai non si può non prendere posizione su questo argomento. Persino Biden, che di solito è così cauto con Israele, è stato molto esplicito: quella è la linea rossa, oltre Israele non può andare. In Italia l’opinione pubblica, di destra o di sinistra, trova ormai inaccettabile ciò che sta facendo Israele a Gaza: ci sono bambini che muoiono di fame. L’ONU ha detto che a maggio, andando avanti così, ci sarà carestia nella Striscia. Pure in Israele si stanno rendendo conto che la situazione a Gaza è inaccettabile.

Netanyahu, quindi, starebbe prendendo tempo. Ha in mente un piano B?

No. È partito con l’intenzione di distruggere Gaza e fare terra bruciata e non ha mai presentato un vero piano politico. Continua a vendere la storia che avranno una vittoria totale. L’IDF, tuttavia, ha attaccato l’ospedale al-Shifa perché Hamas si stava riorganizzando. È nel nord di Gaza, il primo territorio a essere stato brutalmente colpito, e ancora sono costretti a fare operazioni militari per eliminare nuove cellule di Hamas.

Israele dovrà rendersi conto che la soluzione può essere solo politica?

Hamas può e deve essere sconfitta sul piano politico, creando le condizioni perché sia in minoranza, offrendo ai palestinesi un loro Stato. Bisogna mettere sul tavolo un’alternativa dicendo loro: “Al posto di Hamas scegliete la pace, scegliete lo Stato palestinese che la comunità internazionale è pronta ad offrirvi”.

(Paolo Rossetti)netan

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