La destabilizzazione dell’ordine internazionale ha avuto un picco in questi ultimi giorni per la risposta armata di Israele al genocidio spettacolare di più di mille ebrei torturati e massacrati sulla terra dello Stato ebraico. Nessuno si aspettava una simile risposta di guerra: una guerra tradizionale in risposta a un’azione di guerra asimmetrica di migliaia di terroristi.
L’Onu è subito divenuto il sismografo fedele dell’instabilità delle relazioni internazionali scatenatasi nel seno stesso del vaso di Pandora in cui si registrano appunto tutte le variazioni sismiche delle piccole e medie potenze.
Esse trovano non più nella teoria dei diritti della persona, ma nella logica dei diritti umani – che si presenta con una cornice teorica indistinta e giurisprudenziale e operativa piuttosto che filosofica e normativa – l’anello della catena da tirare per scatenare quella critica agli Usa – in ritirata in tutto il mondo non europeo dopo la tragedia afghana – che occorre rielaborare per trovare un ruolo sulla scena internazionale.
Tutto precipita così nel contenitore dell’antisemitismo: il dolore della guerra diventa spettacolo continuo televisivo che fa dimenticare il genocidio. Gli Stati arabi sono terrorizzati dalle possibili reazioni delle grandi masse che possono mettere in pericolo il loro dominio: le cosiddette primavere arabe sono terribilmente vicine.
Ma qui scatta la vera contraddizione: quella del reale storico ben diverso dall’ideologia dei diritti umani che si fa spettacolo. Le grandi masse vogliono la pace e sanno – nelle periferie arabe e del Grande Medio Oriente – che non è la reazione israeliana il problema, quale sia il dolore che si prova dinanzi ai suoi esiti umanitari.
La fonte della guerra e della miseria è nell’ideologia antisemita genocidiaria e nei suoi attori, che sempre più si dividono e ancor più si divideranno dalle masse. Le piazze mediorientali infatti non si scatenano.
Dagli orrori della lotta, dagli errori della guerra, emergerà un principio di realtà. Potremo ricostruire.
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