Nessuna illusione sulle trattative, si andrà avanti con le operazioni militari finché Israele vorrà. Anche se forse non si azzarderà ad attaccare in profondità il Libano. Hamas e Israele hanno ricominciato a parlare di un possibile cessate il fuoco o almeno di una tregua, con 16 giorni iniziali in cui le armi non dovranno sparare per iniziare una trattativa sul dopoguerra, ma l’ottimismo sui nuovi colloqui, visto quello che è successo in passato, non è così scontato. Anzi, dice Sherif El Sebaie, opinionista egiziano esperto di geopolitica del Medio Oriente, è stato detto tante di quelle volte che si era a un passo dalla svolta che ormai, quando ritornano previsioni più rosee sul futuro di Gaza, scatta comunque la diffidenza. Più probabile invece che il governo Netanyahu continui nelle operazioni militari: gli americani non le ostacolano certo, i Paesi del Medio Oriente non vogliono essere coinvolti e Israele può continuare a realizzare i suoi piani, per arrivare, in ultima analisi, ad avere una Palestina senza palestinesi, cioè quello che ha sempre auspicato almeno la parte più a destra della coalizione che sostiene Netanyahu. A essere realistici, l’unico scenario, a lungo andare, è questo. E intanto i morti a Gaza hanno superato le 38 mila unità.
Sono riprese le trattative fra Israele e Hamas per un cessate il fuoco o almeno per una tregua. Come tante volte in passato, si sprecano i commenti ottimistici. Questa può essere davvero la volta buona?
Ormai non ci credo più. Da mesi si parla di negoziati e tregua e alla fine si arena tutto. E non conosciamo neanche i dettagli. Tutto è molto fumoso. L’unica cosa di cui siamo certi è che a Netanyahu, dal punto di vista personale e politico, conviene continuare la guerra.
La novità sembra che Hamas adesso sia disposto a parlare almeno di una tregua iniziale, senza un cessate il fuoco definitivo, per dare il là a negoziati veri. Basterà per trovare un’intesa?
Voglio ben vedere che Hamas non sia disposto a una tregua, visto il bilancio di morti e feriti che hanno avuto finora. I danni peggiori li hanno subiti loro, hanno bisogno quantomeno di un periodo di respiro. Il numero dei morti a Gaza ha superato le 38 mila persone, senza contare i feriti gravi che rischiano la vita. Senza dimenticare le infrastrutture completamente distrutte.
Hamas sta accusando il colpo dal punto di vista militare? Israele è vicina alla sua neutralizzazione oppure si tratta di un obiettivo di fatto non raggiungibile?
Hamas ha bisogno di riapprovvigionarsi, ma finora è riuscito a sorprendere gli israeliani comparendo in aree che dovevano essere completamente bonificate. Lo stesso portavoce dell’IDF ha detto che Hamas è un’idea radicata nel cuore delle persone e che dire che l’organizzazione verrà distrutta è gettare sabbia negli occhi della gente. Un’opinione contraria rispetto a Netanyahu.
Ma alla fine a cosa punta Israele e in cosa può sperare Hamas?
Hamas può solo cercare un attimo di respiro, invece il premier israeliano punta su un ritorno alla Casa Bianca di Donald Trump.
Netanyahu e Biden dovrebbero incontrarsi quando il primo, il 24 luglio, si recherà negli USA per parlare al Congresso. Sarà la prova definitiva che gli americani sosterranno sempre Israele e che il governo israeliano proseguirà l’operazione militare?
A Netanyahu conviene mostrare anche all’opinione pubblica interna che è in grado di tenere testa agli USA. È disposto a tutto per dimostrarlo. È stata scoperta una campagna online nei confronti dei decisori politici americani, per indurli a sostenere Tel Aviv. Ne ha parlato il New York Times: se ne è occupata una società israeliana che, con l’uso anche della IA, ha cercato di persuadere politici USA a promuovere posizioni filo-israeliane. Netanyahu sta lavorando per ottenere tutto quello che può, a partire dalla fornitura di armi. Aveva appena accusato Biden di non fornirle. Ha messo sotto torchio l’amministrazione americana in attesa che arrivi Trump: con lui l’appoggio a Israele dovrebbe essere assodato.
Qatar ed Egitto sono ancora protagonisti delle trattative per un eventuale cessate il fuoco, temporaneo o meno, ma i Paesi del Medio Oriente sembra che abbiano perso l’iniziativa riguardo alla Palestina. È così?
I Paesi del Medio Oriente hanno tutto l’interesse ad essere coinvolti il meno possibile, significherebbe essere trascinati in problematiche difficili da gestire: l’accoglienza dei palestinesi o un conflitto armato con Israele che nessuno vuole, visto che fino al 7 ottobre tutte le nazioni dell’area erano sulla strada della normalizzazione dei rapporti.
Quindi non dobbiamo aspettarci nessun intervento da parte dei Paesi della regione?
L’unico intervento possibile è quello dell’Iran e delle sue propaggini, le sue milizie, come Hezbollah in Libano. L’unico attore geopolitico dell’area che in qualche modo è in conflitto aperto è Teheran. Non certo i Paesi arabi sunniti.
Il sostegno americano non manca, iniziative dai Paesi confinanti neanche a parlarne, ci sono, quindi, le condizioni per cui Israele faccia quello che vuole, cioè continuare a combattere?
Fino a quando non ci saranno elezioni in Israele e cambierà il governo mi sa proprio di sì. La linea di Netanyahu è abbastanza chiara, anche se c’è una linea di scontro anche molto forte con i militari. Alcuni organi della sicurezza israeliani recentemente hanno rilasciato personaggi sospettati di essere in combutta con Hamas e Netanyahu ha dichiarato di non saperne niente. Per non parlare dello scontro con la parte ortodossa della società che non accetta il servizio di leva obbligatorio. Ci sono frizioni interne che potrebbero portare a un cambio della guardia. Ma il primo ministro può riuscire a rimanere in sella appoggiandosi alla parte più a destra della sua coalizione, dando loro più poteri sulla Cisgiordania, in attesa, appunto, che Trump torni presidente.
Ma come immagina Netanyahu il futuro dei rapporti fra Israele e Palestina? Nei giorni scorsi è stata data notizia della più grande appropriazione di terreni autorizzata in Cisgiordania dopo gli accordi di Oslo. La strategia, insomma, è pezzo per pezzo di riappropriarsi di territori ora occupati dai palestinesi. È la conferma che l’obiettivo è svuotare Gaza e la West Bank dai palestinesi?
Secondo me questo è lo scenario del governo attuale o almeno della parte più a destra dell’esecutivo. Si immaginano un futuro senza palestinesi. Dove debbano andare è un altro paio di maniche. Stando alle dichiarazioni i residenti di Gaza dovrebbero andare in Egitto, quelli della Cisgiordania in Giordania. Questo è quello che pensano di ottenere se non a breve, sicuramente nel lungo termine.
Un piano che questo governo ha perseguito anche prima dell’attacco di Hamas?
Il 7 ottobre è stato in parte il risultato di queste politiche. E paradossalmente l’attacco che, nelle intenzioni di Hamas, doveva riportare, e ha riportato, la questione palestinese sotto i riflettori, è anche l’episodio che è servito al governo israeliano per accelerare le proprie politiche, nel senso dell’esproprio delle terre palestinesi, della costruzione degli insediamenti ed eventualmente dell’occupazione di Gaza.
Visto che da un certo punto di vista Israele ha le mani libere, senza nessuno che contrasta veramente i suoi piani, attaccherà in Libano?
È vero che nessuno li ostacola, ma è anche vero che gli israeliani stanno già gestendo un fronte e prima di aprirne un altro che potrebbe essere molto più impegnativo (perché Hezbollah è meglio armato e addestrato di Hamas e sostenuto dall’Iran) credo che ci penseranno molto bene. Il fatto che non ci sia stata reazione israeliana nel momento dell’attacco missilistico iraniano è indicativo che stanno facendo i loro conti.
(Paolo Rossetti)
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