Quando eravamo giovani discutevamo a non finire sulla cosiddetta anomalia italiana. Era una variante analitica dell’“American exceptionalism” di Seymour Lipset, il grande sociologo socialista nordamericano che con David Riesman ci aprì una nuova prospettiva negli studi comparati. Certo, l’eccezionalismo italiano – oggi è più chiaro che mai – risiedeva e risiede nella tardiva unificazione nazionale e nella specifica versione di tale unificazione. La versione per annessione dall’alto via Regno sabaudo e divisione del fronte assolutistico con la travagliata sconfitta militare dell’Impero austro-ungarico e neutralizzazione inglese del non previsto – dall’artefice massimo del geniale disegno, ossia il conte Camillo Benso di Cavour – attivismo garibaldino che consegnò anche il Regno dei Borboni alla dinastia savoiarda.



Gli effetti controintuitivi della settecentesca Guerra delle Alpi in cui l’aristocrazia piemontese perse i suoi figli migliori e fermò i francesi alle porte di Torino venivano così a compimento. Iniziava l’eccezionalità italiana, ossia il suo esser giovanissimo Stato costruito su antichissime nazioni culturali e fiorentissimi dotti cosmopoliti. Questa eccezionalità emerge alla luce ogniqualvolta il sistema statuale italico inizia i suoi ciclici processi di disgregazione.



Pensiamo all’avvento dei prodromi del fascismo, generati dal cambio di alleanze in prossimità della Prima guerra mondiale. Pensiamo al fattore K, che impedì il dispiegarsi della macchina elettorale senza condizionamenti esterni sia sovietici, sia nordamericani nella tumultuosa guerra civile che portò al sacrificio di Aldo Moro.

Crollata l’Urss, il nuovo fattore K è divenuto l’europeismo da ordoliberismo, ovvero da Fiscal compact e da sudditanza più o meno forte al dualismo franco-tedesco. Una continuità impressionante e interessantissima dal punto di vista scientifico che dovrebbe appassionare i giovani studiosi come non mai.



Naturalmente tutto muta sotto la spinta del cambiamento del quadro internazionale e del ciclo economico mondiale. Quest’ultimo è contrassegnato dal lento e inesorabile processo deflazionistico che dall’Ue si estende via via a tutto il mondo, ponendo addirittura a rischio l’egemonismo nordamericano. E dal punto di vista geopolitico, dalla profondissima divisione tra Francia e Germania, da un lato, e Usa, dall’altro, con l’emersione della nuova guerra del Peloponneso innescata dall’emergere della Cina come potenza marittima penetrata di già nella cittadella capitalistica mondiale – la Cina potenza comunista – grazie al predominio della finanza tanto sull’economia reale quanto sulla civiltà liberaldemocratica: come si facevano immensi guadagni con il nazismo, oggi si fanno con il comunismo cinese, comunismo dittatoriale che si appresta a concludere con lo Stato Vaticano un accordo epocale diretto al riconoscimento della Chiesa cattolica ufficiale fedele al Partito sacrificando una coraggiosa chiesa del silenzio e dei martiri che sarà immolata alla ragion di Stato.

Ecco la parola chiave: l’Italia è quell’insediamento umano percorso da insediamenti umani non stabili in entrata e in uscita, oggetto della ragion di Stato, di complessi di potenza che sono oggi affollati alla culla del neonato Governo. Lo Stato Vaticano in primis, di cui il capo del Governo è interessantissimo esponente di fatto, e poi lo Stato francese e quello tedesco che si sono susseguiti nella persona dei loro Presidenti in visite quasi l’una al confine istituzionale con l’altra, a render manifesto il complesso di molteplici interessi che quelle ragion di Stato mettono e metteranno in campo: dalle nostre banche e industrie ai nostri servizi di mercato, tanto sul suolo italico quanto in Africa e nel Mediterraneo ormai contendibile.

Le potenze europee e gli Usa e quindi la Russia si stanno posizionando per trarre i vantaggi possibili dall’unica via con cui si potrà superare l’ordoliberismo devastatore tedesco, ossia la ricostruzione della Mesopotamia e di ciò che rimane della Libia o delle Libie. Chi costruirà oggi la nuova Basilica di Superga che si eresse per celebrare la vittoria nella Guerra delle Alpi? I Savoia non ci sono più e mi pare impossibile vincere questa nuova figurata e affollatissima guerra della sopravvivenza dell’industria e delle banche italiane con quel fondamentale fattore sempre dimenticato del potenziale tecnologico di difesa.