“Pechino ha intenzione di stritolare piano piano il nostro centro di gravità per arrivare a un negoziato”: ne è convinto l’ammiraglio Chen Yeong-Kang, che ha prestato servizio dal 1974 al 2015 a Taiwan, vivendo la terza crisi sullo Stretto, quando la Cina per diversi mesi prese di mira il Paese, lanciando missili. Secondo l’ex militare, al momento “per alcuni anni il rischio è ancora basso, per ragioni politiche e militari. Xi Jinping ha ormai il controllo totale del Partito comunista e non ha fretta. Anche perché l’esercito non è pronto a sostenere un’invasione su larga scala”, spiega a La Stampa.



Secondo l’ammiraglio, sono tante le cose che mancano per lo scoppio di un conflitto “a partire dalle spiagge per uno sbarco anfibio di così enorme portata. È come se stessero costruendo il cast adatto per uno spettacolo teatrale senza un palcoscenico per metterlo in scena. Ma credo manchi anche la volontà. Nel caso l’opzione politica venga scartata credo ci siano prima altri passi”. Ad esempio, “Attacchi mirati a siti militari, istituzionali ed energetici. E un blocco navale totale che la Cina attuerà solo nel momento in cui è certa di essere in grado di tagliare fuori possibili interventi esterni”.



Cina-Taiwan, il piano di Pechino

Secondo Chen Yeong-Kang, ammiraglio di Taiwan, Pechino “aumenterà la pressione per fiaccare mezzi e morale. Le continue manovre oltre la line mediana hanno un effetto sia psicologico sia concreto, visto che logorano i nostri mezzi difensivi. Piano piano verrà estesa l’area grigia. Da tenere sotto osservazione i cavi sottomarini. Nelle scorse settimane ne sono stati tagliati due che portavano internet sulle isole Matsu e c’è voluto tempo per ripristinare la rete”. Dal canto suo, Taiwan ha bisogno di “maggiore coordinamento tra le varie agenzie, concentrandosi non solo sugli aspetti militari ma anche energetici, politici, legali”. Inoltre, secondo l’esperto va anche “rimodellata la concezione strategica. E riaperta tra comunicazione con l’altra sponda”.



Le armi Usa possono aiutare ma “non serve solo comprare. Bisogna comprare bene. Il focus sulla guerra asimmetrica può aiutare a vincere qualche battaglia ma non un’ipotetica guerra. E non bastano le armi senza interoperabilità e trasferimento tecnologico. Se un componente non funziona, ora dobbiamo mandarlo negli Usa e lo rivediamo dopo mesi”, conclude l’esperto a La Stampa.