Un anno di guerra. E la situazione, se possibile, peggiora ancora. Fino a far dichiarare nuovamente all’ONU che quello del Sudan rischia di essere uno dei maggiori disastri umanitari. Milioni di sfollati, 14mila morti (ma non c’è un dato ufficiale), fame, stupri, esecuzioni di massa: tutto questo non basta ancora alla comunità internazionale per agire con determinazione in un Paese devastato dal conflitto tra le forze che fanno capo ad Al Burhan e le RSF (Rapid Support Forces) di Hemetti, un tempo in qualche modo suo alleato e ora impegnato in uno scontro senza esclusione di colpi per il controllo del territorio.
“Occorre una moratoria sulle armi”, propone Mussie Zerai, sacerdote eritreo che ha vissuto in Italia occupandosi di migranti e di rifugiati dell’Africa subsahariana: l’unica soluzione è togliere le armi alle fazioni che alimentano la guerra civile, ma non è cosa facile. Di fronte alle immani proporzioni di una tragedia come questa, finora l’unica iniziativa è stata una conferenza a Parigi per raccogliere fondi e inviare cibo a una popolazione che sta morendo di fame, bambini compresi. Ma anche questa iniziativa si è rivelata un flop: sono stati raccolti 150 milioni di dollari mentre servono miliardi.
Ormai Al Burhan e Hemetti si combattono da più di un anno e non hanno intenzione di smettere. Cosa sta succedendo?
La situazione si complica sempre di più: la popolazione è ridotta alla fame, la carestia incombe, ma non si riesce a trovare una soluzione. Qualche giorno fa sono stati convocati a Parigi i Paesi donatori o quelli che cercano di esercitare una mediazione (come Emirati Arabi, Arabia Saudita e altri) ma senza che ci fossero i diretti interessati, i due protagonisti del conflitto. Che pace può venire se non vengono invitati per dialogare? La raccolta fondi è una buona iniziativa, ma anche da quel punto di vista le cose non vanno granché bene. Secondo l’ONU servono 4 miliardi, i Paesi donatori hanno raccolto circa 150 milioni di dollari, una goccia nel mare. La popolazione non ha aiuti, i campi coltivabili sono rimasti aridi perché la gente è stata cacciata, hanno distrutto i magazzini in cui venivano custoditi i viveri: la gente vive in un contesto di fame e malattie.
L’ONU ha lanciato un nuovo allarme sulla situazione catastrofica del Sudan: ha smosso qualcosa?
Il problema è che il Sudan non è al centro dell’attenzione, è sparito dal radar della comunità internazionale, che si occupa solo della guerra in Ucraina e di quella a Gaza. E ora dello scontro tra Israele e Iran. Eppure ci sono più di 2 milioni di profughi fuori dai confini e altri milioni di sfollati interni che fanno la fame. Anche perché nel frattempo il conflitto non si è fermato.
Dal punto di vista militare, intanto, le RSF di Hemetti hanno occupato Khartum. È una conquista che può decidere la guerra?
Controllano quasi tutta Khartum, anche se è diventata una città fantasma e il governo che rivendica di essere legittimo si è spostato a Port Sudan. Fino a che non arriveranno a dialogare, comunque, non si riuscirà a trovare una soluzione pacifica.
Visto che ora le RSF hanno guadagnato terreno sono ancora meno propense di prima a prendere in considerazione una trattativa per far tacere le armi?
Se conquistano territori vorranno continuare a farlo per assicurarsi di partire da una posizione ancora più vantaggiosa in caso di negoziato. Anche questo non aiuta a cercare subito il dialogo. La colpa è anche di chi fornisce armi alle parti in guerra, di chi li aiuta economicamente. Il vero isolamento dei contendenti può arrivare solo da questo: non dovrebbero più ricevere armi.
Chi dà le armi a Hemetti e Al Burhan?
Non si sa esattamente, ma negli schieramenti dietro di loro ci sono la Russia, che aiuta RSF, e altri Paesi che hanno i loro interessi, come i sauditi e gli americani. Non ci sono rifornimenti diretti di armi, ma avranno un altro modo per farle arrivare. Se non mandano armi invieranno soldi. Una situazione che fa sorgere un’altra domanda: chi combatte sta facendo debiti per andare avanti, ma chi acquisisce crediti nei loro confronti come verrà pagato? Bisogna sospendere tutto questo per costringere le parti a parlarsi. I sauditi cercano di mantenersi neutri per avere un ruolo da mediatori, però fin dall’inizio si vedeva che erano dalla parte del golpista Al Burhan, perché anche lui non ha preso il potere con metodi legittimi. Lo ha fatto con la forza, doveva restituirlo alla società civile, ma questo passaggio non c’è stato.
Si parla di violenze particolarmente pesanti nel Darfur, anche con esecuzioni di massa: la regione è davvero così martoriata?
Sì, i janjaweed (ora confluiti di fatto nelle RSF, nda) da sempre sono stati nemici del Darfur come del Sud Sudan: c’è un massacro che non è raccontato abbastanza perché non c’è l’attenzione dei mass media internazionali. Con il conflitto, inoltre, si sono fatti rivedere i movimenti indipendentisti: si vuole approfittare del momento per eliminare anche questi movimenti. L’obiettivo è occupare territori ricchi di risorse naturali: servono per pagare i debiti di guerra.
Davanti a tutto questo la comunità internazionale sta facendo troppo poco.
Doveva almeno raccogliere soldi sufficienti per rispondere all’emergenza umanitaria. Non è riuscita, quello che hanno ricevuto sono spiccioli rispetto al bisogno che c’è. Non bisogna mai perdere la speranza, ma per ora la situazione è questa.
(Paolo Rossetti)
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