Sacerdoti uccisi dai fascisti, seminaristi trucidati dai partigiani, un periodo tremendo come la guerra civile che rischia di venire “dimenticato” per sempre nelle dure violenze costrette a subire chi in quegli anni non si “identificava” né con i “repubblichini” e né con i compagni pronti alla rivoluzione. È in particolare la zona dell’Emilia Romagna a presentare il “conto” più salato in termine di vittime nella Chiesa: i numeri riportati oggi sul Corriere della Sera da Aldo Cazzullo sono impressionanti, «Tra lo scoppio della guerra e il 1948, l’Emilia-Romagna ha avuto 64 sacerdoti fucilati o assassinati (oltre a 59 morti per cause belliche: 14 erano cappellani militari, 45 hanno perso la vita nei bombardamenti o sulle mine o per altri incidenti). Trentasette furono uccisi dai nazifascisti, ventisette da partigiani o ex partigiani comunisti».
Il giornalista ripercorre tra le altre la storia di Sergio Paderni – direttore generale della Programmazione sanitaria del ministero, fu uno dei padri del servizio sanitario nazionale – morto il 25 marzo 2021 ma con un passato sorprendente alle spalle: partecipò da giovanissimo fascista alla fucilazione di Don Pasquino Borghi, parroco di Scandiano accusato di aver nascosto ex prigionieri alleati e partigiani. Fu arrestato, percosso, torturato, e fucilato nella notte tra il 29 e il 30 gennaio 1944 al Poligono di tiro di Reggio Emilia e la cui madre Orsolina anni dopo volle perdonare quel giovane soldato che ebbe come unica colpa di stare dalla parte sbagliata nel momento sbagliato.
«Il 30 gennaio 2021, nel giorno del settantasettesimo anniversario della fucilazione, ha scritto una memoria — poche settimane prima di morire, il 25 marzo scorso —, in cui cita un’espressione del vescovo di Reggio Emilia, Massimo Camisasca», spiega ancora Cazzullo riportando la citazione del monsignore, «Il sangue di don Pasquino Borghi è diventato luce». Lo stesso Paderni in un documento da lui firmato insieme ai familiari di Don Pasquino scrive in maniera commossa: «Io, Sergio, allora quindicenne, fui certo del perdono di don Pasquino subito dopo la mia partecipazione alla fucilazione. Mia madre lo comprese subito e lo scrisse alla mamma di don Pasquino, ringraziandola per il suo gesto: “Mio figlio non potrà mai dimenticare quello che ha visto in quella tragica mattina, e quel ricordo sarà sempre di sprone a bene operare in ogni azione della sua vita”. Da quel momento, cercai di dare alla mia vita il senso di un servizio ai malati e ai bisognosi, ricordando e invocando ogni giorno nelle mie preghiere l’intercessione di quell’uomo, il cui sangue, come disse monsignor Camisasca, è diventato luce».
I PRETI UCCISI DALLA GUERRA CIVILE SEGNO DI SPERANZA
Da Don Pasquino al seminarista 14enne Rolando Rivi, lui invece ucciso dai partigiani comunisti il 10 aprile 1945 dal commissario politico Giuseppe Corghi: interrogato, torturato per tre giorni perché considerato un “traditore” e infine giustiziato dal partigiano che in risposta ai dubbi sollevati dagli altri presenti esclamava «Sarà un prete di meno domani». Oggi Rolando Rivi è Beato per la Chiesa Cattolica e giusto negli scorsi giorni la sua festa liturgica ha visto l’arrivo a Reggio Emilia, dove sono conservate le sue reliquie, di richieste da tutto il mondo per altri oggetti appartenuti al Beato Rivi. È tre anni fa che la figlia del suo aguzzino, Meris Corghi, ricevuto dal padre in punto di morte la confessione su quanto avvenuto 70 anni addietro, chiese ufficialmente perdono alla famiglia Rivi per il male compiuto dal padre. Lei, atea cresciuta in famiglia atea, ha intrapreso un cammino di conversione con un frate dominicano fino a giungere ad una preghiera pubblica avvenuta sulla tomba di Rolando a Pieve di San Valentino: «Cristo ha salvato tutti gli uomini. Prima di spirare sulla croce usò il suo ultimo fiato solo per perdonare i suoi carnefici. Ciò che l’odio del Separatore ha diviso possa riunirsi nell’amore del Sacro Cuore di Gesù. Che il sorriso di Rolando possa risplendere su tutti voi e, accanto a lui, anche quello di mio padre» (fonte Corriere della Sera).
La guerra civile non ha visto due parti “uguali” così come non si possono fare paragoni troppo “azzardati” tra quanto commesso durante la guerra, ma un dato è certo: «Il fatto che vennero commesse atrocità da entrambe le parti non esclude che ci fosse una parte sbagliata, quella di Hitler e Mussolini, e una parte giusta, quella che combatteva il nazifascismo, e in cui militavano resistenti di ogni fede politica». Questo però, conclude Mons. Camisasca a Cazzullo, non significa che i preti emiliani non conoscessero bene dove fosse la parte “sbagliata”: morirono però in molti casi per il semplice fatto di aver testimoniato che sulla Terra (e non solo) esiste Qualcosa di ben più grande della fede politica o della “battaglia rivoluzionaria”: «Le storie di don Pasquino Borghi e del beato Rolando Rivi, e dei diversi tormenti dei loro uccisori, testimoniano che lo spirito di Dio è all’opera — conclude il vescovo di Reggio —. Sarebbe importante che la Chiesa pensasse a un processo di canonizzazione comune a tutti i preti uccisi nella nostra terra in odium fidei, per odio verso la fede. Se l’Italia è risorta dopo la guerra, lo si deve anche al sacrificio di questi nostri fratelli, che hanno vissuto alla lettera l’indicazione di Gesù: “Nessuno ha un amore più grande di questo, dare la vita per i propri amici”».