La guerra commerciale non è evidentemente destinata a finire presto. Ieri Trump ha dichiarato che forse sarebbe meglio aspettare fino a dopo le elezioni del 2020 prima di firmare un accordo con la Cina. Significa, come minimo, altri dodici mesi di incertezza che avranno conseguenze reali sulle decisioni di investimento delle imprese; siccome c’è incertezza si investe di meno e non si investe in Paesi che potrebbero trovarsi dal lato sbagliato delle sanzioni americane.



Gli annunci determinano effetti a prescindere da qualsiasi sia l’accordo finale; anche se questo confermasse in pieno l’assetto precedente la nomina di Trump. Detto questo, la “guerra commerciale” non è un tema a breve scadenza; continuano ad arrivare conferme che la “guerra commerciale” è lo scenario di medio-lungo periodo ed è molto più bipartisan di quanto facciano sembrare le sparate di Trump. Abbiamo già detto che in questo scenario essere gli “esportatori” del mondo è una posizione molto scomoda.



Ieri sono arrivate anche le minacce americane di nuovi dazi contro la Francia e altri partner europei. La ragione sarebbe da ricercare nelle proposte di alcuni Paesi europei di aumentare le tasse su alcune multinazionali americane. Diventa però difficile isolare i temi squisitamente commerciali da quelli politici e geopolitici. I discorsi di Macron sulla “morte” della Nato, più una promessa/agenda che un’analisi”, non sono stati accolti con entusiasmo dall’America. Guerra commerciale e geopolitica ormai sono due questioni inseparabili.

La politica economica europea e il suo modello economico sono messi a dura prova da questi cambiamenti e dallo scontro in atto tra Cina e America. Non si possono fare affari con tutti, tenendosi le mani libere politicamente come accaduto negli ultimi 30 anni. Il problema è che la risposta dell’Europa è inesistente. La Germania nel 2018 ha fatto politiche fiscali restrittive; ancora oggi la sua economia vive e respira al ritmo della crescita globale e in particolare di quella cinese. Ancora oggi è una ripresa delle esportazioni l’unica speranza. Il problema è che la Germania, nemmeno di fronte alla situazione attuale, ha alcuna intenzione di cambiare. Come prima economia dell’area euro lo stimolo dovrebbe venire primariamente proprio dai tedeschi; per salvare l’unione si dovrebbero dimenticare parametri di deficit pensati per un mondo che non c’è più. La Germania tiene in ostaggio economicamente un continente. In questo senso la Francia sembra infinitamente più consapevole di quello che sta accadendo.



Lo scontro tra Cina e Stati Uniti e la guerra commerciale che ne consegue mettono sotto pressione l’Europa che dovrebbe cambiare profondamente se volesse dare corpo all’ambizione di essere un attore terzo. Lo scenario di oggi invece scatena le divisioni in seno all’Europa. In assenza di una politica economica comune, all’altezza delle sfide attuali, e di tutti i cittadini europei le pressioni che arrivano dagli Usa sono un moltiplicatore delle divisioni interne. Perché l’Italia, partner americano molto più fedele della Francia, dovrebbe pagare per le polemiche francesi o per il rifiuto tedesco di modificare la propria politica economica? Per avere il Mes? O per farsi rifilare la crisi del 2012?

I tradimenti italiani sulla Via della seta con Grillo che si intrattiene per ore con l’ambasciatore cinese sarebbero meno dannosi se l’Europa fosse all’altezza delle sue ambizioni. Invece acuiscono le pressioni. Si avvicina il momento della scelta per l’Europa e per l’Italia. Gli inglesi si svincolano da tutto tra qualche settimana e alla viglia di cambiamenti che sono di medio-lungo periodo. L’adesione cieca e ideologica a un certo europeismo impedisce all’Italia di giocare il proprio ruolo. La nostra scelta, ci dicono, è “l’Europa”. ma in questo momento non vuol dire niente sia perché l’Europa è irriformabile, sia perché in Europa ci sono posizioni diversissime, sia perché non è affatto chiaro cosa sarà dell’Europa e della Nato con le pressioni in atto. Farsi condurre dall’”Europa” senza pensare può essere rischiosissimo. Uno per esempio pensa di stare in Europa e poi si ritrova in una provincia cinese, o tedesca o francese e magari nemico degli Stati Uniti. Non è proprio la stessa cosa.