La Cina scatena la guerra del gallio e del germanio contro gli Usa. Si tratta di materiali importanti per l’industria americana ed europea, usati in diverse produzioni (dagli smartphone alla fibra ottica, ma anche per le pale eoliche e i pannelli fotovoltaici) per sostituire il silicio. A partire da agosto gli esportatori cinesi dovranno chiedere una licenza e aggiornare il ministero del Commercio sulle operazioni commerciali svolte, riducendo di fatto l’export.
È solo un aspetto, racconta Roberto Bianchini, professore a contratto di finanza infrastrutturale e direttore dell’osservatorio Climate Finance del Politecnico di Milano, Academic Fellow per la Bocconi e partner di Ref Ricerche, della guerra per la supremazia mondiale tra le due superpotenze, una ritorsione di Pechino al blocco all’invio dei chip di alta tecnologia in Cina voluto dagli Stati Uniti. La Cina è leader mondiale nella fornitura di questi materiali e finora Usa ed Europa si sono approvvigionati sfruttando i prezzi bassi praticati dal Dragone. Ora però, sul medio periodo, si trovano spiazzati da questa decisione.
Professore, quale effetto può avere la decisione della Cina di ridurre l’esportazione del germanio e del gallio? Può riguardare anche la transizione green?
Probabilmente l’effetto ci può essere nel medio termine: in questo momento non ci sono grosse tensioni per quanto riguarda l’approvvigionamento. Se il provvedimento relativo a questi materiali verrà mantenuto ci potrà essere un aumento dei costi. Si tratta di una decisione da inquadrare in una disputa sino-americana, in cui l’Europa gioca un ruolo di secondo piano. Tuttavia germanio e gallio possono avere diversi utilizzi, anche nel settore green, per realizzare pale eoliche, per il solare e altro ancora.
Il punto è la guerra commerciale tra Cina e Stati Uniti?
Sì. Che non è solo una guerra commerciale, ma uno scontro per imporre la supremazia a livello globale dal punto di vista geopolitico: va vista all’interno delle tensioni che ci sono tra americani e cinesi.
Il motivo vero del contendere qual è?
Il timore che ci sia trasferimento tecnologico, che la Cina possa ottenere una supremazia in ambiti come l’intelligenza artificiale e che questo possa mettere in atto dei rischi geopolitici per gli Stati Uniti. Anche dal punto di vista militare.
Per bloccare la crescita di Pechino, Washington ha già messo dei paletti alle aziende cinesi?
Hanno forzato molto su ASML, produttore di chip ad altissima tecnologia olandese, che ha interrotto l’esportazione dei chip a più alta tecnologia verso la Cina. Di fatto la contromossa del Dragone è una risposta a questo. Gli Usa puntano a frenare il trasferimento tecnologico verso la Cina.
Ma i cinesi sono monopolisti nella produzione di germanio e gallio?
Non sono monopolisti, però producono il 60-80% del gallio a livello mondiale e gli Stati Uniti importano dalla Cina il 50% del loro fabbisogno.
Il primo Paese che viene danneggiato, quindi, sono proprio gli Usa?
Esatto. E anche l’Europa.
Queste materie prime per cosa possono essere utilizzate?
Vengono estratte dalle miniere, e in realtà si sta sviluppando anche una produzione in Europa, in Germania, in Belgio, in Paesi che hanno una tradizione di estrazione mineraria. Sono materiali più efficienti del silicio nella produzione di microchip avanzati, riducono la latenza, resistono meglio alla temperatura. Sono utilizzati nella componentistica eolica o fotovoltaica sostituendo il silicio.
Qual è il possibile danno per l’industria europea?
Potrebbero esserci degli incrementi dei costi. L’anno scorso c’era stato un problema di approvvigionamento dei chip che aveva riguardato le case automobilistiche, potrebbe riproporsi una maggiore difficoltà di approvvigionamento, ma non nel brevissimo, eventualmente nei prossimi mesi.
Dipende se i cinesi manterranno la restrizione dell’export di germanio e gallio e la useranno per trovare un accordo con gli Usa?
Potrebbero utilizzarla come arma negoziale. È sempre un tema geopolitico più che prettamente economico.
Vedremo un mercato cambiato come è successo negli ultimi tempi per il gas e l’energia?
Ci saranno catene del valore meno globali, che determineranno un incremento dei costi e una riduzione del commercio mondiale. E, inevitabilmente, una crescita economica più rallentata.
L’Occidente non è stato abbastanza previdente nel considerare i rischi di approvvigionarsi di queste materie da un solo produttore come la Cina? Come mai Pechino si è assicurata fette così grosse del mercato?
L’essere non pienamente un’economia di mercato, ma una in cui c’è una programmazione centrale del Governo, ha favorito l’acquisizione di questa posizione di preminenza. I cinesi hanno cominciato questa strategia per diventare leader mondiali di produzione e fornitura di materiali rari da dieci anni, sviluppando la produzione interna, acquisendo miniere e andando a stringere accordi commerciali con i Paesi africani. Usa ed Europa, in un mondo in cui la globalizzazione la faceva da padrone, hanno sottovalutato il problema.
Non se lo sono posti in tempo?
Hanno sfruttato i benefici della catena del valore globale, con la riduzione dei costi, grazie al fatto che quelli praticati dalla Cina erano molto competitivi.
Adesso che i rapporti a livello geopolitico sono un po’ più tesi le cose sono cambiate e la leva commerciale viene utilizzata in questa “guerra di posizionamento”?
Esatto. Adesso bisogna vedere se la riduzione di export di germanio e gallio verrà applicata in maniera stringente o no. Non possiamo limitarci a parlare solo di questo problema ma porci in un’ottica globale. Tutte le dispute che ci sono a livello mondiale fra Stati Uniti e Cina rientrano in questo tema: quanto più le tensioni aumenteranno, tanto più questo ban all’esportazione sarà stringente, se si allenteranno, invece, sarà gestito in maniera più morbida. I cinesi da una parte possono usare queste armi di pressione, ma dall’altra se bloccano l’esportazione danneggiano la propria economia, perché non hanno ancora una domanda interna sufficiente a coprire la produzione.
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