Tonnellate di cereali bloccate nei porti ucraini, silos saccheggiati dalle forze russe il cui grano sta venendo imbarcato su navi russe nel porto di Sebastopol in Crimea. Un quadro preoccupante che potrebbe portare a una carestia di impatto globale, soprattutto nei paesi del Nord Africa come Egitto e Libia, del Medio Oriente, come Libano e Siria, e dell’Africa sub sahariana. Meno grave la situazione per l’Italia e i paesi dell’Europa, che hanno una produzione di grano duro quasi soddisfacente per il fabbisogno alimentare, meno per quello industriale, affermano gli esperti del settore: pane e pasta non mancheranno nei supermercati (anche se i prezzi saliranno ancora).
“Quello che spaventa è il possibile effetto di una carestia nei Paesi africani con conseguenti flussi migratori simili a quelli visti nel 2015, che hanno creato un impatto che ha fatto vacillare Paesi come il nostro” ci ha detto in questa intervista Marco Di Liddo, responsabile dell’Area Geopolitica e capo analista del Desk Africa e del Desk Russia e Balcani del Cesi (Centro Studi Internazionali).
Russia e Ucraina sono i maggiori esportatori di cereali al mondo, Kiev non riesce più a muovere il suo grano dopo la perdita di Mariupol e con il porto di Odessa pesantemente minato dagli stessi ucraini. La Russia vuole mettere in ginocchio l’Ucraina o lo fa per minacciare una carestia globale affinché vengano sospese le sanzioni a suo carico?
La definizione di guerra del grano che è stata data è la descrizione perfetta di quello che sta succedendo. Le priorità di questa nuova guerra sono creare un danno economico all’Ucraina e soprattutto usare le forniture di grano verso Paesi terzi per minacciare una crisi alimentare in grado di creare effetti destabilizzanti sia a livello dei Paesi importatori che all’Europa.
Quindi un piano studiato a tavolino?
Un piano per militarizzare la questione del grano e minacciare di far scoppiare una bomba sociale che innesti instabilità e accelerazione dei flussi migratori. Se si realizzano queste due condizioni l’Occidente si dovrà trovare a gestire due emergenze che non sono affatto semplici e che verranno a crearsi nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo o in quelli dell’Africa subsahariana.
I russi starebbero quindi usando un’arma in più che l’Occidente ha sottovalutato?
Ricordiamoci nel 2015 l’impatto sociale e politico che l’emergenza migratoria ebbe sul nostro continente e sull’Italia. I russi vogliono paventare questo tipo di rischio che purtroppo potrebbe concretizzarsi realmente. È l’esempio più classico di guerra ibrida, usare l’esportazione del grano per scopi militari e strategici. Sotto questo punto di vista ritengo ci sia una piena volontà da parte di Mosca. Per evitare che si verifichi questa catastrofe potrebbero chiedere chiedere concessioni importanti a livello di sanzioni oppure condizioni politiche nel teatro ucraino.
Un primo treno merci partito dall’Ucraina è arrivato al porto di Klaipeda in Lituania passando per la Polonia. Potrebbe essere una via alternativa per esportare i cereali?
Il tonnellaggio di una nave è superiore a quello di un treno. Le quantità che possono essere esportate in questo modo non solo sono minori, ma hanno anche bisogno di più tempo per raggiugnere i mercati di destinazione. Il grano ucraino deve arrivare nei Paesi baltici e dai porti di quei paesi fare un lungo giro per arrivare nei porti africani. Inoltre questo sistema fa salire i costi di trasporto, c’è il rischio che il flusso inferiore e i costi superiori di trasporto creino un innalzamento del costo del grano e questo può comunque creare un effetto domino. Se il grano arriva ma costa di più allora anche il pane può costare di più, gli stipendi di certi Paesi non sono sufficienti e un certo impatto c’è ugualmente.
L’Occidente e gli Stati Uniti possono mettere in moto un piano di sostegno per questi Paesi?
Sicuramente è sul tavolo, ma al momento non c’è alcun piano di contingenza. Il problema è che noi siamo abituati ad affrontare le crisi non in modo endemico, ma un passo alla volta: adesso dobbiamo lavorare sulla guerra e poi passeremo ad altro. Non dimentichiamo che veniamo da un biennio di pandemia, le economie occidentali sono già a dura prova. Non è semplice gestire questi fattori tutti insieme in un contesto di risorse limitate.
(Paolo Vites)
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