Si è parlato di modello Corea e ora di modello Norvegia, ipotizzando un’Ucraina divisa ma inserita nella NATO con l’assicurazione di non avere armi puntate sulla Russia. La possibilità che Kiev perda una parte dei suoi territori è data per scontata anche da fonti americane. L’unica che non se ne accorge è la UE, dove non solo la Germania riporta indietro la storia agli anni ’80 accettando missili a medio e lungo raggio USA puntati sulla Russia, ma si continua con la fallimentare politica delle sanzioni economiche. Quello che servirebbe, invece, spiega Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa, è riflettere sulla nuova sicurezza europea, sul nuovo ruolo da dare alle relazioni con la Russia, che da parte sua, nel frattempo, allaccia rapporti sempre più stretti con l’Iran. E mentre l’Europa continua sulla strada della guerra, il ministro degli Esteri ucraino Kuleba va a Pechino, cercando di capire se la via che porta alla pace può passare anche da quelle parti.
Tra voci di trattative e rumori di guerra, l’Unione Europea ha confermato le sanzioni economiche nei confronti della Russia. La linea di Bruxelles non cambia?
La UE ha una sua agenda che sta seguendo. Il tema è quello del confronto strategico con la Russia, articolato in due dimensioni: quella militare, dove la situazione non è favorevole all’Occidente, e quella economica, dove gli esiti delle politiche europee sono altrettanto negativi. L’economia russa sta andando benissimo, anche se si tratta di un’economia di guerra: il fatto che il ministro della Difesa sia un economista stimato anche dai colleghi occidentali dimostra le intenzioni di Putin di dare una prospettiva al Paese. L’Europa, invece, continua su questo doppio binario secondo un’agenda scontata, senza visione strategica.
Sembra proprio che la UE, nonostante gli evidenti fallimenti della sua politica, non abbia dubbi su questa linea. Come mai?
È questo l’aspetto più disarmante. Di fronte alla realtà dei fatti dovremmo riflettere sul futuro sistema di sicurezza europeo: questo è l’argomento fondamentale. Tutto il resto è routine. Se è vero che la Von der Leyen è stata eletta per garantire la continuità dei mercati, si tratta di una continuità al ribasso, senza alcuna possibilità di prendere in considerazione quello che appare inevitabile, e cioè che l’Ucraina verrà divisa.
Eppure, di questa possibilità ormai parlano anche gli americani. Non è così?
La rivista Foreign Affairs, think tank USA, ha cercato di definire la strategia che l’Ucraina dovrebbe adottare per essere ammessa alla NATO. Dopo aver preso in considerazione, in una pubblicazione precedente, il modello coreano, con una descrizione dettagliatissima dei negoziati serviti per portare a termine la guerra di Corea, nell’ultimo numero ha esaminato lo scenario tedesco (Germania Ovest e Germania Est), che ipotizza la divisione dell’Ucraina in due con la prospettiva, secondo me poco realizzabile, che gli ucraini possano riunirsi un domani. Gli ucraini, insomma, dovrebbero fare come la Norvegia 75 anni fa: per entrare nella NATO senza provocare la Russia, aveva assicurato che non avrebbero mai ospitato missili o strutture dell’Alleanza Atlantica tali da mettere in pericolo Mosca. Rifacendoci alla situazione di oggi, la Russia potrebbe chiedere che gli armamenti che possono raggiungere il territorio russo non dovranno mai essere schierati in Ucraina. Questo per dire che in ogni caso l’inevitabile è alle porte.
In questo contesto come si possono valutare le dichiarazioni di Vucic, il presidente serbo, secondo il quale l’Occidente si sta preparando a una guerra con la Russia?
Vucic è la cassa di risonanza di Mosca, ma non abbiamo bisogno di lui per confermare questi contenuti: pochi giorni fa il ministro della Difesa tedesco ha annunciato che entro il 2029 la Russia potrebbe avviare operazioni offensive nei confronti dell’Occidente. Non è il presidente serbo che dice che ci sarà lo scontro totale, lo hanno sempre detto i leader europei, soprattutto quelli militari. Sono rimasto sorpreso che la Germania abbia accettato di schierare sul proprio territorio i missili USA a medio e corto raggio in Europa. Abbiamo fatto un salto indietro tornando al 1983, alla questione degli euromissili, quando Andropov sulla Pravda commentava la decisione di schierare i Pershing 2 in Germania. E i commenti di oggi dei russi sono gli stessi di allora.
Il cambio di candidati democratici, da Biden probabilmente alla Harris, può significare qualcosa dal punto di vista della guerra? Zelensky, dopo aver parlato con Trump, dovrà “tenere buoni” anche gli avversari del tycoon?
Se vincesse la Harris non dovrebbe cambiare nulla, ma bisognerà vedere fino a quando sarà sostenibile la politica di aiuti all’Ucraina da parte dell’Occidente. Zelensky ha parlato con Trump e ha cominciato a imbastire un discorso che dovrà continuare, per preparare il terreno a quella che potrebbe essere la futura soluzione per la guerra in Ucraina. Zelensky deve tenere il piede in due scarpe: deve salvare il suo Paese; se non riceve certezze da una parte, deve cercarle dall’altra. Non ha scelta, se non altro per capire cosa c’è nella mente di chi eventualmente si insedierebbe alla Casa Bianca. Bisogna vedere, tuttavia, presidenti a parte, che visione ha dell’Ucraina il deep state.
Gli USA potrebbero lasciare definitivamente la patata bollente della gestione della guerra in Ucraina all’Europa?
Negli Stati Uniti c’è sempre stata una scuola di pensiero secondo la quale l’Europa senza gli USA non sarebbe andata da nessuna parte. Un’altra parte considerevole del Paese pensa, invece, che gli europei dovrebbero assumersi la responsabilità delle loro scelte in termini militari. Peccato che ogni volta che cerchiamo di elevare il livello di autonomia, gli USA dicono che è troppa e che dobbiamo tornare sotto la loro protezione. Un rapporto schizofrenico. Anche questo è un aspetto da chiarire: in che misura dobbiamo essere autonomi strategicamente, qual è il livello di autonomia sopportato dagli americani?
Il ministro degli Esteri ucraino Kuleba va a Pechino. Si tiene aperta la strada di una soluzione diplomatica della guerra?
La Cina ha sempre parlato di pace e c’è un certo allineamento con la Russia, anche se non importante come quello della Corea del Nord, con la quale Mosca ha stipulato un trattato di assistenza nella sicurezza. La missione di Kuleba è esplorativa: la Cina potrebbe essere uno dei garanti del processo di pace, Kiev vuole sapere che carte ha da giocare. Pechino è visibilmente accanto alla Russia, però sostiene il ruolo dell’ONU e il dialogo per la pace. Per una possibile futura amministrazione Trump, la Cina sarebbe il problema numero uno. Si tratta di vedere quanto diventerebbe importante a scapito dell’Ucraina. Se Trump lascia l’Ucraina per occuparsi della Cina, per Kiev potrebbe essere un problema.
Intanto la Russia sta tenendo esercitazioni militari con gli iraniani sul Mar Caspio. Operatori economici russi vogliono investire su porti iraniani nella stessa area. L’alleanza Mosca-Teheran si sta rinsaldando?
La Russia è intervenuta in Siria per controllare il crescente ruolo che aveva l’Iran in Medio Oriente. Poi si è sviluppata un’alleanza di opportunità: la Russia ha sempre sostenuto l’asse sciita per controllare il radicalismo islamico sunnita. In Cecenia non ha risolto il problema dei sunniti che possono appartenere all’Islam radicale. Questo asse adesso si sta rinforzando. Per la Russia è un modo di affermare la sua influenza in una regione in cui, tra l’altro, l’influenza della NATO è marginale. Il rapporto Russia-Iran continuerà a consolidarsi.
(Paolo Rossetti)
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