Con una singolare sincronia, quasi tutti gli organi di informazione parlano del conflitto Israele-Hezbollah come del “rischio di un’escalation”, omettendo che l’escalation è in realtà già ben avviata da tempo, in una guerra schizofrenica, che non può non ricordare per certi versi quella del 2006 (la seconda guerra tra Libano e Israele, durata 34 giorni) o ancora la prima, detta “Pace in Galilea”, del 1982, che vide l’invasione da parte delle truppe IDF di buona parte del sud del Libano.
La domanda, oggi, dopo i recenti colpi messi a segno da Tel Aviv (la deflagrazione dei dispositivi elettronici in mano ai guerriglieri Hezbollah e il raid nella periferia di Beirut che ha eliminato buona parte dell’intellighenzia militare del gruppo sciita, compreso il pluriricercato Ibrahim Aqil, sul quale pendeva una taglia statunitense da 7 milioni di dollari), è: sono stati i presupposti per una larga operazione delle IDF, con relativa invasione dei territori dell’alta Galilea libanese, o solo attacchi mirati, in grado di decapitare la catena di comando e le milizie Hezbollah, nello stesso tempo sfiduciandole agli occhi della popolazione e restituendo autostima e considerazione ai servizi di intelligence israeliani, finiti sotto accusa dopo il massacro del 7 ottobre 2023?
Al di là delle accuse di parte, è abbastanza evidente come gli attacchi di Tel Aviv abbiano conservato una fisionomia “chirurgica”, elaborati per colpire la riunione dei capi terroristi a Beirut e i miliziani che erano stati dotati dai loro capi (in Libano e in Siria) dei pager anti-intercettazioni. Anche se ci sono state comunque vittime civili, i cosiddetti “danni collaterali” che non mancano mai in tutte le operazioni militari, e di cui ancora la macabra contabilità non è in grado di fornirne un numero preciso. Si sa invece che oltre alla quarantina di morti (nelle due operazioni) tra gli Hezbollah, i recenti attacchi hanno causato almeno 3mila feriti (che incidono forse ancor più nella logistica dell’apparato delle milizie).
Sono state in ogni caso due operazioni pianificate con cura: l’esplosivo nei cercapersone è frutto di una lunga elaborazione dei servizi israeliani, basata sulla creazione di una serie di società fittizie per entrare prima in possesso dei dispositivi di fabbricazione orientale (già da tempo stoccati tra il fuori mercato), poi sabotarli, ed infine rivenderli tramite una complicata catena di mediatori internazionali a chi – gli Hezbollah – pensava di poterli utilizzare in sicurezza. Una realtà che oltrepassa qualsiasi fantasia: le mosse degli agenti mistaarivim (israeliani ebraici che parlano un fluente arabo) viste nell’ormai serie-cult Fauda impallidiscono di fronte a queste inedite vicende.
Così come è evidente l’ingenuità dei capi Hezbollah che, non fidandosi più di utilizzare ogni tipo di device o dispositivi elettronici, si erano riuniti in una palazzina di Beirut sud confidando di poter pianificare in sicurezza le contromosse. La lunga mano del Mossad li ha raggiunti ed eliminati, in un’evidente dimostrazione di superiorità d’intelligence ed infiltrazione dietro le linee nemiche.
Anche il sorvolo degli F35 della Heyl Ha’Avir (le forze aeree di Tel Aviv) sopra una Beirut concentrata sul prevedibile discorso, pomposo ma comunque ancora vago, del capo Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha contribuito ad alimentare il clima di sfiducia della popolazione libanese nella guida degli attivisti sciiti, uno Stato nello Stato che però fino all’altro ieri, oltre a lanciare quotidianamente razzi contro la Galilea israeliana, garantiva anche una sorta di welfare per chi non ha quasi niente, uno stato sociale di fatto, impegnato in programmi di salute, sport ed altro.
Il terzo fronte israeliano (dopo Gaza e Yemen), insomma, è ormai ben attivo e complicato: se gli Hezbollah hanno accusato i recenti colpi, non si può pensare che siano davvero al tappeto, anzi. È noto, ad esempio, che sono ancora in possesso di un vastissimo arsenale, nutrito negli anni da Iran e Siria, con capacità offensive ben maggiori a quelle di Hamas a Gaza. Una Striscia per buona parte ridotta ormai in materiale di risulta, in avvilenti macerie, ma che ancora nasconde in qualche tunnel superstite sia armi che capi, compresa la guida suprema Sinwar.
Oggi, con le IDF che dislocano buona parte delle proprie forze da Gaza al fronte nord, “i funzionari della sicurezza israeliana stanno offrendo l’incentivo dello status di residenza permanente ai richiedenti asilo africani che accettano di partecipare a operazioni militari a Gaza, a volte pericolose per la vita”, come informa il quotidiano israeliano Haaretz. Da clandestini a mercenari: sembra questo il moderno incentivo per meritarsi uno ius soli, passando prima per uno ius belli.
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