È un Paese senza istituzioni, che vive una profonda crisi economica e non riesce a difendere la sua sovranità. Ora però che Israele lo attacca, bombardando tutto il territorio e muovendo persino le forze di terra, il Libano rischia lo sfascio. Potrebbe non essere più in grado di reggersi da solo, spiega Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo Cosmo (Center for Oriental Strategic MOnitoring), con sedi a Roma e Beirut, tornando sotto occupazione.



Tel Aviv, d’altra parte, vuole mantenere il controllo del territorio per neutralizzare Hezbollah e permettere agli abitanti del Nord di Israele di rientrare nelle loro case senza il pericolo di un lancio di razzi da parte delle milizie filo-iraniane. E per ottenere questo obiettivo l’IDF potrebbe andare molto oltre l’area di confine tra i due Paesi. Per uscire dalla crisi, tuttavia, il Libano ha bisogno della comunità internazionale: senza un aiuto esterno è troppo debole per tornare a riaffermarsi come Stato.



Israele e gli americani parlano di limitate operazioni terrestri, ma l’intervento militare in Libano potrebbe essere molto esteso. Per un Paese in grave crisi dal punto di vista economico e istituzionale, questo potrebbe significare la crisi definitiva?

Dobbiamo capire quali sono gli obiettivi strategici di Israele e, per farlo, occorre conoscere la storia della regione. Gli israeliani intervennero in Libano già nel 1978, ma allora la popolazione sciita li accolse con fiori e riso, simbolo di bellezza e prosperità. Paradossalmente, fu proprio l’ingresso delle truppe israeliane nel sud del Libano per creare una zona cuscinetto fino al fiume Litani e impedire all’OLP e ai gruppi palestinesi di lanciare attacchi verso il Nord di Israele, a contribuire alla nascita del gruppo che appare per la prima volta come Hezbollah nel 1985: i pasdaran iraniani hanno esportato lo spirito della rivoluzione islamica, fondando questo primo satellite iraniano. La prima azione suicida avviene nel 1982 nella zona di Tiro, da parte di un esponente del futuro Hezbollah che si fece esplodere. Nel 2000, poi, l’esercito israeliano si ritirò definitivamente dal sud del Libano. Questo background è fondamentale per capire gli obiettivi attuali di Tel Aviv.



Quali sono?

È difficile credere a un carattere limitato delle incursioni israeliane e anche a un lasso temporale limitato di queste operazioni: nelle ultime settimane c’è stata una preparazione politica, tattica e psicologica che fa pensare a un obiettivo almeno di medio e lungo termine. Per Israele significa dire all’ONU che non crede nella capacità delle forze UNIFIL di impedire a Hezbollah di condurre attacchi a Israele dal sud del Libano. Due risoluzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la 1559 e la 1701, hanno l’obiettivo di impedire il riarmo di Hezbollah. Secondo gli israeliani, le Nazioni Unite hanno fallito da questo punto di vista e per questo ritengono di doverci pensare da soli.

Quindi cosa vogliono veramente?

Entrano in Libano per garantire la sicurezza del Paese, il ritorno degli sfollati israeliani nel Nord e una buffer zone (zona cuscinetto, ndr) dalla Linea Blu fino al fiume Litani per evitare che Hezbollah possa lanciare i suoi attacchi. Letta in un altro modo, è un’invasione: il controllo di un Paese che dovrebbe avere una sua sovranità, ma in cui in realtà lo Stato non esiste, in cui Hezbollah si è sostituito alle istituzioni pubbliche, garantendo anche un welfare, un’assistenza alle persone, ma solo a quelle della comunità sciita. Hezbollah ha legittimato il possesso delle armi dicendo che servono per proteggere tutta la popolazione, ma nelle ultime settimane non è riuscito a difendere il Libano, perché l’apparato si è dissolto in poco tempo.

Se l’obiettivo israeliano è di creare questa buffer zone, l’IDF si limiterà a colpire nel sud del Libano oppure estenderà l’attacco a tutto il Paese?

Gli attacchi dell’ultima settimana non hanno risparmiato nessuna zona del Libano, neanche quelle a maggioranza cristiana. Negli ultimi anni, d’altra parte, Hezbollah ha installato sotto abitazioni private le sue infrastrutture. Gli israeliani hanno bombardato nella Bekaa, vicino alla località sciistica di Faqra, a Beirut, nel Sud e anche nel Nord: se vogliono, e se hanno un appoggio internazionale, partendo da quello USA, non hanno problemi a spingersi fino al sud di Beirut. Significherebbe una ridefinizione del Medio Oriente, ma anche la fine totale del Paese, ormai ridotto a un malato terminale, con lo Stato al collasso e senza un presidente. Il Paese rischia di tornare a vivere sotto occupazione. C’era stata quella siriana fino al 2005, adesso c’è il pericolo di un’occupazione con finalità di sicurezza da parte israeliana.

Come può ripartire, allora, il Libano?

Da solo non può fare nulla, è un neonato che deve fare i primi passi con i suoi genitori. C’è bisogno della comunità internazionale che lo sostenga. Il ruolo di UNIFIL e dell’Italia, che ha interlocuzioni privilegiate con il Libano, in questo può essere determinante. È comunque un lavoro immane, da realizzare sulle ceneri del progetto di Hezbollah, che ha pensato di sostituirsi allo Stato. Ad oggi, tutti i libanesi temono per il futuro del loro Paese, sia quelli che vivono lì, sia quelli della diaspora.

Ma gli israeliani sarebbero orientati a occupare anche parti del Paese oltre il sud?

Più che occupare, vogliono garantire la pulizia totale da tutte le infrastrutture di Hezbollah. Il leitmotiv è questo: Israele vuole far tornare i residenti nel Nord e vuole essere sicura che Hezbollah non bombardi più, mettendo fuori uso i suoi depositi in tutto il Paese. Stiamo parlando dello smantellamento della più grande milizia del Medio Oriente, la meglio armata, con un apparato molto più potente dell’esercito regolare libanese. Tutto ciò non si fa in pochi giorni. E il Libano non può fare nulla per fermare questa operazione.

Nella situazione del Libano, storicamente visto come Paese capace di far convivere confessioni religiose e modi di vivere diversi, quanto contano le divisioni interne? C’è da ricostruire anche un senso di unità nazionale? Ci sono speranze in questo senso?

Dopo l’esodo di migliaia di sciiti che hanno abbandonato il Sud per dirigersi verso il Nord, abbiamo visto segnali di solidarietà: in zone a maggioranza cristiana strutture alberghiere hanno accolto i profughi, tante chiese sono state trasformate in dormitori o luoghi di accoglienza. Per la prima volta da anni si è visto un senso di unità nazionale. Per il resto, Hezbollah non ha lavorato per unificare il Paese, anzi, ha rivolto le sue armi anche verso i sunniti e una parte dei cristiani. L’emergenza ha dimostrato la disposizione alla solidarietà che caratterizza i libanesi: è stato l’unico Paese che ha accolto tanti rifugiati palestinesi tra gli anni 40 e 50, anche se poi questi ultimi hanno lanciato da lì l’intifada, causando la guerra civile. Più recentemente, il Libano ha accolto anche molti siriani.

(Paolo Rossetti)

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