Israele vuole togliere ossigeno a Hezbollah e attacca le sue strutture finanziarie: un modo per fiaccare ulteriormente un’organizzazione decapitata nei suoi vertici e in difficoltà perché abbandonata dall’Iran. Sullo sfondo, spiega Bernard Selwan Khoury, direttore italo-libanese del Centro studi sul mondo arabo Cosmo, c’è la conferenza sul Libano che il 24 ottobre potrebbe portare alla luce un piano per il cessate il fuoco che prevede il rilancio dell’esercito, la nomina del Presidente della Repubblica e un Paese che riguadagna la sua neutralità. Una proposta per la fine della guerra sarebbe stata avanzata agli USA anche da Israele, ma comprenderebbe un ruolo attivo dell’IDF nel disarmo di Hezbollah: difficile che venga accettata.



I combattimenti sul fronte libanese si sono intensificati. Siamo in una nuova fase della guerra?

Credo che dall’inizio del confronto Israele-Hezbollah la scorsa notte sia stata la più intensa in termini di bombardamenti. Fino ad oggi Israele ha preso di mira la struttura di comando e controllo e ha decapitato l’organizzazione, colpendo non solo Nasrallah, il capo riconosciuto, ma tutto lo stato maggiore. Tanto che i miliziani del sud del Libano ora stanno combattendo mossi dall’ideologia in cui credono, dalle motivazioni religiose: lo fanno da martiri, secondo una disposizione al sacrificio propria degli sciiti, ma senza una strategia, perché non c’è uno stratega.



Stavolta, però, Israele ha attaccato obiettivi diversi dal solito. Perché?

Israele è andata a colpire il polo economico di Hezbollah, il network AQAH, Al Qard al Hasan, perno finanziario dell’attività lecite e illecite di Hezbollah, compreso il riciclaggio di denaro che arriva dalle comunità sciite di Africa e Sudamerica, traffici che in questi anni hanno permesso di resistere alla crisi economica. Una settimana fa c’è stato un attacco a Zgharta, località storicamente cristiana nel Nord del Libano dove alcuni rifugiati sciiti avevano affittato una palazzina, nella quale si trovavano le famiglie di tre esponenti di Hezbollah. Sono state colpite mentre un funzionario dell’organizzazione stava portando i soldi alle famiglie dei combattenti. Aveva il denaro nella sua auto, dopo il raid c’erano banconote dappertutto.



Cosa ci fa capire questo episodio?

Si tratta di attività che rientrano nel sistema di welfare che Hezbollah ha creato e che finora gli ha garantito consenso. Israele ha colpito il cuore pulsante dell’organizzazione, che ha permesso ad Hezbollah di avere una legittimazione popolare. Il supporto economico ha colmato un vuoto nella comunità sciita che non sopportava Hezbollah. Gli attacchi dell’altra notte sono stati portati nell’area sud di Beirut, per la prima volta a un’infrastruttura economica vicino all’aeroporto, che ora tutti temono possa essere il prossimo target. L’aeroporto è a ridosso della roccaforte di Hezbollah nella zona.

Perché gli israeliani hanno cambiato le loro priorità negli attacchi?

Il 24 ottobre c’è la conferenza internazionale sul Libano indetta dalla Francia: sembra che si possa essere vicini a un accordo di cessate il fuoco, ci sono elementi che lo confermano; in questa prospettiva Israele avrebbe colpito l’ultima infrastruttura che permetterebbe a Hezbollah di avere un po’ di respiro, di ossigeno per continuare. Questa conferenza è un’occasione persa per l’Italia: a oggi è il primo interlocutore commerciale e diplomatico del Libano, doveva prendere l’iniziativa e non limitarsi a lavorare dietro le quinte.

Come si concretizzerebbe il cessate il fuoco?

Najib Mikati, primo ministro libanese, in un’intervista ha detto che Hezbollah sarebbe pronto a rispettare la risoluzione 1701 che prevede la smilitarizzazione dell’area a sud del fiume Litani, quella dove opera l’Unifil. Una dichiarazione che rappresenta una novità: mai Hezbollah aveva pensato di acconsentire al rispetto della risoluzione, che di fatto riconosce le forze armate libanesi come le uniche abilitate ad agire nella zona. Le parole di Mikati fanno capire che l’accordo è vicino: Hezbollah è in ginocchio, anche perché l’organizzazione è stata abbandonata dall’Iran. Le stesse dichiarazioni dei vertici iraniani fanno comprendere che di fatto è quello che è accaduto, così come è successo con Hamas.

Il piano di pace cos’altro prevede?

Nelle prossime settimane ci potrebbe essere il cessate il fuoco che tutto il Libano supporta; a questo dovrebbe succedere l’elezione del Presidente della Repubblica: un vuoto fino a oggi imposto da Hezbollah, che non voleva un presidente ostile al suo braccio armato. Il presidente in Libano deve essere un cristiano maronita: a oggi i nomi più plausibili sono quelli di Joseph Aoun, comandante delle Forze armate, ed Elias Al Baysari, capo della sicurezza generale. Il primo ha un forte sostegno degli USA ed è percepito come rappresentante dell’unica istituzione che garantisce l’unità nazionale. Sarà il primo tassello per ricostruire una sovranità che oggi non c’è.

Un processo in cui l’esercito libanese assume un ruolo importante?

Dovrà garantire la sicurezza nel sud del Paese, mettendo in condizione Israele di non dover persistere nella sua presenza armata. Finora era arduo anche solo rifornirlo di un container di pistole, per timore che potessero andare a Hezbollah, che invece per contro ha avuto un accesso illimitato a equipaggiamenti militari da parte dell’Iran, anche attraverso il confine Libano-Siria. L’esercito libanese va ricostruito, non dal punto di vista morale, perché incarna l’unità nazionale, ma servono i mezzi. Qui Israele deve essere lungimirante: fino a ieri guardava al Libano come il Paese di Hezbollah, oggi dovrebbe cominciare a guardarlo come il Paese con cui confina: non c’è convenienza a convivere con uno Stato con il quale rimanere in guerra. Il Libano deve tornare al suo ruolo naturale, di neutralità.

Deve tornare a essere la Svizzera del Medio Oriente?

Il Libano ha una tradizione di montagne. Oggi il sistema bancario libanese è collassato, ma in passato rappresentava un altro elemento che autorizzava il paragone con la Svizzera. Deve tornare alla neutralità che caratterizza la Confederazione elvetica.

Cosa comporterebbe questo nuovo ruolo del Libano per tutta la regione?

Significherebbe una ridefinizione del Medio Oriente i cui effetti si vedranno all’inizio del 2025, quando ci sarà un cambio anche della presidenza Usa. Una ridefinizione in cui l’Iran cercherà di riposizionarsi, cominciando a sedersi al tavolo dove si siedono i big della regione. L’Arabia Saudita si sta accordando con Israele, dall’Iran sono arrivati segnali di abbandono di Hamas e Hezbollah.

Quali sono questi segnali?

L’assassinio di Haniyeh, quello di Nasrallah, la violazione del sistema di sicurezza di Hezbollah, tutte le notizie che sono uscite sulla possibile violazione del sistema di sicurezza iraniano. Tutto ciò pone un altro interrogativo: un vento di cambiamento sta per soffiare anche all’interno dell’Iran? Un timore che spinge il Paese a riposizionarsi. C’è la paura di una primavera persiana, una sorta di controrivoluzione.

Il problema fondamentale per dare un futuro al Libano, comunque, rimane quello dell’esercito libanese?

Il Libano ha bisogno del sostegno di una comunità internazionale che deve lavorare dal punto di vista diplomatico con Israele, per indurlo ad accettare questa nuova prospettiva. Fino ad oggi solo gli Usa hanno avuto voce in capitolo, ma entro certi limiti. Per questo bisogna attendere le elezioni presidenziali.

Intanto Israele continua con gli attacchi all’Unifil.

Unifil è un intralcio per le operazioni militari a sud del Libano, la sua presenza costringe l’IDF a pianificare in modo chirurgico le sue azioni. Resta comunque la completa mancanza di fiducia nei confronti dell’ONU, accusato in alcuni casi di essere compiacente con realtà vicine a Hamas. Hezbollah poi ha realizzato depositi di armi sotto gli occhi dell’Unifil e Israele vuole fare pulizia di tutte le strutture dell’organizzazione sciita. Unifil, però, non può andare via dalla regione: è l’unica garanzia che ci sia un adulto, che ha esperienza, che possa prendere per mano il bambino che è il Libano per insegnargli a camminare, in particolare facendo crescere l’esercito libanese.

(Paolo Rossetti)

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