Il generale Haftar muove parte delle sue truppe verso Sirte, la città natale dell’ex dittatore Gheddafi e simbolo della guerra contro lo stato islamico, da cui fu liberata nel 2016. Attaccare Sirte vuol dire attaccare le forze di Misurata, già impegnate nella difesa di Tripoli, e secondo l’inviato di guerra de Il Giornale Fausto Biloslavo, questa manovra ha come scopo proprio quello di distrarre forze di Misurata da Tripoli in modo da indebolirne la difesa. Sempre secondo Biloslavo, fallita la “guerra lampo” sperata da Haftar, il conflitto si sta sempre più internazionalizzando e portando a una situazione simile a quella della Siria.
Attaccare Sirte vuol dire attaccare Misurata?
Lo scontro con Misurata c’è già da tempo, a Tripoli solo le brigate di Misurata hanno salvato Serraj dal tracollo. La battaglia di Tripoli ha visto queste forze impegnate in prima linea capaci di arginare quella che doveva essere la guerra lampo di Haftar, che invece si è arenata. Si sapeva che una delle possibilità era quella di un attacco su Sirte, che oltre a essere vicina è importante per i molti terminal petroliferi.
Che ruolo riveste la città di Sirte dal punto di vista strategico e tattico?
Si trova fra Misurata e Bengasi, è strategicamente importante. Qui si è svolta la sanguinosa battaglia contro lo stato islamico nel 2016 che ha portato la città a essere liberata dai terroristi islamisti. Dal punto di vista tattico significa attrarre le truppe di Misurata nella difesa di Sirte e quindi distrarle da Tripoli, impegnandole su un altro fronte.
Recentemente Haftar ha incontrato il presidente egiziano che gli ha detto di andare avanti tranquillamente nella sua guerra. Arabia Saudita e Emirati Arabi fanno altrettanto: lo scenario come si sta sviluppando?
Haftar ha tanti alleati e padrini, a cominciare dai francesi e anche dai russi. Qualche tempo fa è stato abbattuto un drone da ricognizione proprio sui cieli di Sirte pilotato da contractor russi.
E Serraj oggi su chi conta?
È appoggiato dal Qatar in odio all’Arabia Saudita. Ci sono poi anche i turchi, che sono legati maggiormente a Misurata. Da una parte ci sono i droni invisibili degli Emirati che bombardano di notte Tripoli e Sirte, dall’altra Haftar denuncia che ci sono droni turchi che bombardano le sue forze. Si sta delineando uno scenario siriano con ingerenza straniera molto pesante e sarà il tracollo definitivo della Libia. È chiaro che Haftar non poteva sognarsi un’offensiva su Tripoli senza avere le spalle protette da pesanti padrini.
Offensiva che però si è fermata. O no?
Pensava fosse una passeggiata, sperava in un’insurrezione popolare che però non c’è stata, ma intanto rimane a una decina di chilometri dal centro di Tripoli. Il problema è proprio che non ci sono vincitori né vinti. Haftar non è stato respinto, ma non è riuscito a prendere Tripoli. Bisogna piuttosto tenere conto che ai libici non importa granché chi vinca o chi perda, sono stufi della situazione, chiedono un presidente unico, un esercito solo, di finirla con le milizie. Per cui gli stessi sfollati da Tripoli in caso vincesse Haftar sono ben pronti ad abbracciarlo.
Se la situazione è questa non si può fare pressione su Serraj di togliersi di mezzo?
Serraj più che altro si appoggia sulle brigate di Misurata ma non solo. È il primo ministro, ma non ha un grande potere sul terreno; oltre a lui c’è Misurata, ci sono milizie varie, non è così semplice. Bisognerebbe metterli tutti in una stanza a trovare una accordo definitivo.
Soprattuto chiamare a discutere i Paesi del Golfo.
Ormai la crisi è internazionale, è chiaro che tutti questi paesi, anche quelli europei, la stessa Italia, visto che siamo gli unici ad avere soldati in Libia, sono coinvolti e tutti dovrebbero partecipare a un negoziato per uno sblocco definitivo della situazione.