Con l’approvazione del dispiegamento di truppe in Libia da parte del parlamento, la Turchia di Erdogan ha conferito il crisma dell’ufficialità alla militarizzazione della sua politica estera nel Mediterraneo, di fatto in corso già da tempo. Fin dallo scorso aprile, infatti, Ankara fornisce soldati e uomini dell’intelligence, armamenti e droni alle milizie che supportano il Governo di Accordo Nazionale (meglio conosciuto con l’acronimo inglese Gna) presieduto da Fayez Al Sarraj a Tripoli, nello scontro con l’Esercito Nazionale Libico (Lna) guidato dal Generale Khalifa Haftar, che fa capo al governo di Tobruk.



La recente offensiva che ha consentito all’Lna di conquistare nuovi territori a sud della capitale, grazie al crescente sostegno militare offerto ad Haftar dalla Russia in coordinamento con Egitto ed Emirati Arabi Uniti, ha spinto Erdogan a effettuare un salto di qualità nel suo impegno al fianco di Al Sarraj, con il quale ha siglato un patto di sicurezza e di cui il voto favorevole del parlamento all’invio di rinforzi in territorio libico è corollario. In tal modo Erdogan ha posto il Gna sotto la protezione turca per garantire la sopravvivenza di Al Sarraj, probabilmente nell’ottica di un accordo con l’Lna e Haftar mediato con Vladimir Putin, a garanzia di un ruolo preminente sia di Ankara che di Mosca nel futuro della Libia.



Non sarà facile però trovare una sintesi che favorisca la fine delle ostilità. Un compromesso in questa direzione andrebbe raggiunto a livello regionale e non esclusivamente domestico, ma come far accettare ad Egitto ed Emirati Arabi Uniti la possibilità che i Fratelli musulmani continuino ad avere un ruolo rilevante in Libia? Per i governi del Cairo e Abu Dhabi, i Fratelli musulmani sono un’organizzazione terroristica, mentre le fazioni, i leader politici e i gruppi armati riconducibili alla Fratellanza esercitano una forte influenza sul Gna e Al Sarraj, con l’appoggio della Turchia e in maniera più defilata del Qatar, i due grandi sponsor dell’organizzazione transnazionale islamista.



Da queste dinamiche e dall’orientamento dei futuri assetti libici, i paesi europei sembrano essere sempre più estromessi. Con gli Stati Uniti concentrati prevalentemente sul versante iraniano dei conflitti mediorientali, come si arguisce dal raid d’inizio anno ordinato da Trump e costato la vita al generale Suleimani, le rivalità che hanno indotto Francia, Italia, Germania e Gran Bretagna a procedere in ordine sparso hanno lasciato un vuoto di cui hanno infine approfittato Turchia e Russia.

L’Italia in particolare resta in mezzo al guado, come risultato di una strategia appiattita sin dall’inizio su un cieco sostegno al Gna e ad Al Sarraj, che ha reso problematica l’interlocuzione con Haftar, malgrado i tentativi disperati effettuati da Conte con la conferenza di Palermo e da Di Maio con la recente visita a Bengasi. In prospettiva, per la cura e la soddisfazione dei propri interessi economici, energetici e di sicurezza, concentrati principalmente in Tripolitania, l’Italia dovrà fare affidamento sulla benevolenza di Ankara?

Forse è per questo che da Roma non è giunta reazione alcuna al rafforzamento della presenza turca in Libia, nel proprio cortile di casa. Uno sviluppo che rientra nella categoria dei ricorsi storici, viste le ambizioni neo-ottomane mai nascoste di Erdogan, che si estendono in maniera aggressiva a tutto il Mediterraneo.

L’accordo per la delimitazione delle frontiere marittime siglato con Al Sarraj parallelamente all’accordo di sicurezza è un vero e deliberato atto di guerra, poiché nel perseguimento dell’interesse turco Erdogan ha mostrato di non tenere minimamente in considerazione i legittimi interessi di altri paesi, come nel caso delle riserve di gas naturale al largo di Cipro, dove a essere calpestati sono stati anche gli interessi di Grecia, Egitto e Israele.

I nuovi droni per uso militare schierati nella Cipro occupata sono poi un segnale inequivocabile della volontà di andare fino in fondo nel tentativo di ristabilire una forma di predominio nel Mediterraneo da parte turca, con Tripoli come avamposto della proiezione d’influenza di Ankara in Nord Africa e nell’Europa del sud.

L’Italia è il paese europeo più esposto al disegno geopolitico di Erdogan, di cui parte integrante è la promozione del fondamentalismo dei Fratelli musulmani. Roma sembrare assistere impotente al dispiegarsi di tale disegno, ma è tutta l’Europa a mostrare immobilismo e incapacità di reazione. Da Bruxelles in una nota il Servizio di azione esterna dell’Ue si è limitato a esprimere preoccupazione per il disco verde del parlamento turco all’invio di soldati in Libia, mentre è risultata poco credibile l’intenzione di stabilire una no fly zone europea in territorio libico come misura volta a favorire la cessazione dei combattimenti tra Al Sarraj e Haftar.

D’altro canto, seppur privi di spazi di manovra, l’Italia e il resto dei paesi europei continuano a legittimare il Gna di Al Sarraj, fantoccio della Turchia, come il governo libico riconosciuto ufficialmente dalla comunità internazionale sulla falsariga dell’Onu e con l’acquiescenza di Nato e Stati Uniti. Le rappresaglie del Sultano, sempre in agguato, fanno così tanta paura?