Ci eravamo dimenticati di loro, di quei 400 soldati italiani di stanza a Misurata, l’unica forza militare non libica rimasta nel paese nordafricano dopo che il generale Haftar ha dato inizio alla guerra contro Tripoli (gli americani, ad esempio, hanno tolto le tende immediatamente). E adesso, con una comunicazione inviata via video al Corriere della Sera, il portavoce di Haftar, il generale Mismari, ha ordinato l’immediato ritiro dei nostri uomini, affermando che il loro compito di proteggere l’ospedale militare di Misurata è finito da quando è terminata la guerra contro l’Isis: “Abbiamo le prove che quella struttura ormai non ha più nulla di umanitario, ma costituisce un valido aiuto per le milizie di Misurata che combattono contro il nostro esercito”, ha detto Mismari. Già all’inizio dei combattimenti il nostro governo aveva detto che i soldati italiani non avrebbero lasciato Misurata e ancora ieri lo Stato maggiore della Difesa lo ha ripetuto spiegando che i nostri militari “non sono assolutamente coinvolti in scontri attualmente in atto nel Paese nordafricano”. In realtà, come spiega il generale Carlo Jean, la presenza italiana impedisce ad Haftar di attaccare Misurata e questo dà fastidio. Dietro a questa sfida, osserva Jean, c’è la telefonata di Trump al generale di Tobruk, con la quale è stata fornita una sorta di via libera alle operazioni militari da parte americana. Un dispetto contro l’Italia per aver firmato il memorandum con la Cina? “Abbiamo perso l’unico alleato che avevamo, gli Stati Uniti”, risponde Jean.
Che peso ha la richiesta di ritirare i nostri soldati a Misurata?
In buona sostanza è motivata dal sostegno che il governo italiano continua a dare a Serraj, ma è una dichiarazione supportata dalla telefonata del 15 aprile di Trump ad Haftar, in cui di fatto gli Usa hanno legittimato la sua azione. L’Italia si trova adesso isolata anche dagli Stati Uniti e in questo momento contiamo in pratica come il due di coppe. La dichiarazione di Mismari ha un carattere politico, dice all’Italia di non sostenere più Serraj e Misurata contro Haftar, che peraltro, in questo momento, dal punto di vista militare si trova abbastanza bloccato.
Cosa farà il nostro governo?
Il governo italiano, che appoggia il governo sostenuto dalle Nazioni Unite, dirà che noi non partecipiamo ad azioni militari, ma solo a interventi di protezione per la missione medica “Ippocrate”, e quindi che Haftar stia zitto. Molto dipende da come vanno i combattimenti e se Haftar riuscirà a comprare le milizie di Misurata, che sono divise fra loro. Haftar, inoltre, controlla i due grossi giacimenti petroliferi dell’Eni, da cui le maestranze italiane sono state richiamate già da tempo. Ci rimangono i giacimenti offshore, e comunque l’accordo che l’ente petrolifero di Stato libico ha firmato con l’Eni funziona ancora: speriamo non sia il governo italiano, con i suoi ondeggiamenti, a rovinare anche questo progetto.
Il via libera di Trump ad Haftar e la richiesta di mandare via i soldati italiani possono avere a che fare con l’irritazione del presidente americano per il memorandum che l’Italia ha siglato con la Cina senza avvertire prima Washington?
Può essere benissimo, visto che quando Di Maio si occupa di politica estera fa solo disastri. L’accordo con la Cina è stato sbandierato come chissà quale conquista, quando ha fruttato solo due miliardi e mezzo di commesse, che probabilmente avremmo conseguito lo stesso. Invece abbiamo ottenuto il risultato di indispettire l’unico alleato che ci era rimasto, gli Stati Uniti. Non solo Di Maio, comunque, perché anche l’inadeguatezza del premier Conte in politica estera è imbarazzante.
A questo punto non converrebbe anche a noi andare dietro ad Haftar?
Ormai è una possibilità che ci siamo giocati, è un po’ troppo tardi. E’ vero che abbiamo sempre tenuto, come la Francia, i piedi in due staffe: anche Parigi appoggia dal punto di vista diplomatico Serraj, ma dal punto di vista militare sta con Haftar. Noi invece siamo più legati alle forme giuridiche e sosteniamo l’Onu.