Colpo di scena in Libia: il generale Khalika Haftar si è autoproclamato “capo unico del paese”. Una dichiarazione che, se non ci fosse di mezzo una guerra sanguinaria che dura da più di un anno, farebbe sorridere. Come spiega in questa intervista Michela Mercuri, esperta di rapporti internazionali e progetti di cooperazione nei paesi in via di sviluppo, in particolare nell’area del Mediterraneo e Medio Oriente e docente a contratto di Storia contemporanea dei Paesi mediterranei, “si tratta di un gesto disperato di un uomo sul viale del tramonto”. Questo perché, militarmente parlando, da diverse settimane le truppe del suo rivale Serraj, rinforzate dagli aiuti turchi, stanno infliggendo al suo esercito sonore sconfitte. “Haftar ha dichiarato di godere del sostegno popolare, ma è una bugia, non ha il completo sostegno neppure in Cirenaica, la sua zona, perché la Libia è un contesto sociale molto variegato e pieno di differenziazioni”.



L’autoproclamazione di Haftar a guida unica della Libia avviene in un momento in cui le truppe di Serraj, grazie al sostegno militare turco, hanno ottenuto diverse vittorie importanti. C’è un legame tra le due cose? Haftar si sente minacciato dal punto di vista militare? È una sorta di mossa disperata sperando nel sostegno popolare?



Nella sua proclamazione vedo il gesto di un uomo disperato, che sta perdendo l’unica sua grande roccaforte, la città di Tarhouna, nel nord-ovest della Tripolitania minacciata dalle truppe di Serraj e da quelle dei turchi. Sta tentando il tutto per tutto, ma si trova in una posizione di grande svantaggio. È un mito destinato a cadere. Gode ancora del supporto di alcuni alleati poco convinti, viste queste sue uscite folli.

I suoi alleati più fedeli sono sempre stati Emirati Arabi, Russia ed Egitto. Lo stanno abbandonando?

Anche la Francia, per certi versi. Questo sentirsi quasi completamente accerchiato in una città per lui strategica lo ha spinto al tutto per tutto come è nel suo stile, ma non avrà mai il sostegno popolare. La Libia è una realtà molto complessa e variegata: Haftar gode di un consenso sempre più limitato in Cirenaica e nullo a Tripoli.



Mosca ha criticato in modo deciso la sua dichiarazione. Come interpreta questo segnale?

La Russia ha poco interesse a infilarsi in una nuova guerra dopo quella siriana. Cerca di mantenere i propri interessi nella Cirenaica, cioè uno sbocco sul Mediterraneo, ma non è disposta a combattere. L’Egitto è un alleato di ferro di Haftar, ha sempre permesso il passaggio di armi provenienti dagli Emirati, ma davanti a questa mossa poco ragionata molti degli alleati storici potrebbero allontanarsi: sicuramente la Russia, meno l’Egitto. Ma la comunità internazionale, innanzitutto Francia e Italia che hanno forti legami e interessi economici con Il Cairo, potrebbero condurlo a più miti consigli.

A proposito della Francia: ha sempre condotto una sorta di doppio gioco…

La Francia ha sostenuto la linea dell’Onu, ma de facto appoggia Haftar, tanto che il 9 marzo il generale si è recato a Parigi ottenendo la garanzia dell’aiuto di una banca centrale in Cirenaica. Va detto però che Haftar sta perdendo consenso anche in Cirenaica: la valuta stampata a Tripoli ha un valore più importante della sua. Gli Usa invece hanno emanato una risoluzione di condanna all’azione unilaterale di Haftar, cosa che la Francia non ha fatto. Questo ci dice non solo che Parigi fa fatica a staccarsi da lui, perché ha interessi petroliferi molto ingenti, ma anche che c’è una spaccatura all’interno della Ue.

In che senso?

Lo scorso 19 gennaio l’Unione Europea si era accordata per approntare una road map, senza poi aver concluso nulla. L’Europa rimane spaccata, mentre gli Usa dimostrano di avere una visione unitaria.

E l’Italia? Il ministro Di Maio ha pronunciato parole di circostanza, indicando il summit di Berlino come unica opzione credibile. Tutti chiedono la soluzione politica, da un anno, ma non se ne vedono. È così?

Soluzioni politiche in un teatro di guerra non se ne possono avere. Il 19 gennaio, a Berlino, Conte e Di Maio si erano spesi con sforzi diplomatici importanti. Da allora le cose sono cambiate, il coronavirus ha concentrato l’attenzione di tutti sulla politica interna, mettendo in disparte una politica estera che resta importantissima, facendoci dimenticare la Libia, paese per noi nevralgico per i flussi migratori e per il petrolio. Intanto Serraj ha firmato un’alleanza con la Turchia, escludendo proprio l’Italia. Non si può parlare di pace in una guerra causata da noi.

Cosa intende esattamente?

A Berlino avevamo posto le basi per un dialogo, anche se difficile, ma delle basi c’erano. Si doveva proseguire così, ma non ne siamo stati capaci. Sicuramente quanto dichiarato da Haftar non prelude a una pace, piuttosto a un’escalation di violenza.

Che conseguenze potrà sortire la dichiarazione di Haftar?

Questa dichiarazione di Haftar lo renderà ancora meno credibile a livello internazionale, anche se non dobbiamo pensare che ci libereremo di lui domani mattina, ma ritengo che alla lunga sarà destinato a cadere.

Quando dice di avere il consenso dei libici dice la verità?

Assolutamente no, ha dimenticato chi sono i libici. Ha già poco consenso in Cirenaica e zero a Tripoli. Dimentica che la capitale è fatta da milizie, sindaci, amministrazioni locali. Se non riesce a dialogare con questi soggetti, non può pensare di averli dalla sua parte. Lo stesso errore che abbiamo fatto noi invitando i due leader, Haftar e Serraj, senza dialogare con gli attori locali, che sono i veri padroni. Anche il presidente del parlamento di Tobruk si è opposto alla dichiarazione e potrebbe esserci una svolta interessante con un rimescolamento dei poteri e dei contendenti.

(Paolo Vites)