È guerra di posizione dopo due settimane di combattimenti fra le forze di Tobruk e quelle di Tripoli, mentre i comunicati di ciascuna parte contraddicono quelli dell’altra. Come ci ha spiegato il generale Marco Bertolini, già capo di stato maggiore del Comando Isaf in Afghanistan e di operazioni speciali dalla Somalia al Kosovo, di fatto anche se Tripoli e la zona costiera rimangono saldamente in mano a Serraj, Haftar è riuscito nel suo intento di stringere come un sandwich la vecchia capitale libica “con una manovra avvolgente da manuale”. Intanto il numero dei morti sarebbe salito a 300 circa con 32mila sfollati da Tripoli per via dei bombardamenti di Haftar. Ed è proprio il problema degli sfollati a inquietare le diplomazie europee, soprattutto quella italiana. Serraj ha infatti minacciato che ben 800mila libici potrebbero riversarsi nel nostro paese nel caso la situazione precipitasse. Un quadro che fa paura.



Come’è attualmente la situazione militare sul campo?

È una situazione confusa: se seguiamo le evoluzioni giornaliere ci perdiamo in dozzine di comunicati diversi fra loro. Quello che possiamo capire è che Haftar ha fatto una manovra avvolgente da manuale. Dal nord della Cirenaica si è mosso verso il Fezzan e adesso praticamente minaccia Tripoli da sud. Tripoli però non è caduta, anzi, ma credo che neanche lo stesso Haftar avesse intenzione di ingaggiare un combattimento in città, perché sarebbe stato un bagno di sangue.



Però Tripoli è stata bombardata.

Sì, ma la città è del tutto sotto controllo di Serraj e delle sue unità. Attualmente Haftar controlla a ovest della città l’entroterra fino al confine con la Tunisia, la fascia costiera è ancora in mano di Serraj, anche se subito a ridosso c’è Haftar. È insomma una specie di sandwich e questo potrebbe essere uno dei motivi per cui la temuta invasione non c’è stata.

Perché?

A sud è stato superato l’aeroporto internazionale ma lì Haftar si è fermato,  a ovest c’è una presenza significativa delle milizie di Misurata che gli impedisce di sfondare.



Questo il quadro tattico. Dal punto di vista strategico invece?

Haftar, anche se in una situazione di stallo, ha fatto notevoli passi in avanti. Se la situazione si cristallizzasse così com’è adesso, non c’è dubbio che si presenterebbe a degli eventuali colloqui nella posizione di controllore di quasi tutta la Libia meno la Tripolitania e Misurata. Ha ottenuto un grosso risultato.

Diverse migliaia di persone sono fuggite da Tripoli, Serraj agita lo spauracchio di 800mila libici che potrebbero riversarsi in Italia ed Europa. È una mossa politica?

Speriamo che non sia vero. Credo che abbia interesse a drammatizzare questo aspetto per spingere non tanto all’azione militare contro Haftar, dietro al quale ci sono la Russia e la Francia, anche se Macron ha preso un po’ le distanze. Però sicuramente il fatto di coalizzare l’impegno internazionale rientra nei suoi interessi. Per far questo la paura è un’ottima arma, cominciando dallo spaventare l’Italia. Almeno speriamo sia così.

Trump è sceso in campo dopo essersi disinteressato della Libia per anni e pare strizzare l’occhio ad Haftar. È così?

Trump ha telefonato ad Haftar e ha preso atto che è l’uomo forte. La Russia pare un po’ sottotraccia, non prende posizione, però c’è la Turchia che appoggia Misurata. La Russia ha mille ragioni per non provocare la Turchia, interessi che si chiamano Idlib in Siria e lo Stretto dei Dardanelli.

Cosa sta facendo invece l’Italia e cosa dovrebbe fare?

Abbiamo sempre appoggiato in modo corretto Serraj in quanto è lui che è riconosciuto dalla comunità internazionale come il rappresentante della Libia. Inoltre controlla la Tripolitana e dalla Tripolitana ci arrivano i migranti, quindi è giusto avere rapporti con lui. Però a questo punto è necessario aprire un canale forte con Haftar. Se la Libia si unifica è più probabile si unifichi sotto Haftar che sotto Serraj, quindi non dobbiamo farci trovare impreprati nel momento in cui questo accadrà.

(Paolo Vites)