Dopo l’uccisione di Ibrahim Aqil, comandante e uomo di spicco di Hezbollah e, soprattutto, del leader assoluto del “Partito di dio” Hassan Nasrallah, caduti sotto ai raid israeliani in Libano, Tel Aviv ha quasi smantellato tutti i vertici di Hezbollah, oltre a quelli di Hamas. Netanyahu ora ha davvero ampi margini di manovra nel “Paese dei cedri” e, più in generale nel quadrante Mediorientale. Quali potrebbero essere le opzioni sul tavolo? E cosa potrebbe riservarci il futuro? Proviamo a rispondere, con le dovute cautele che la volatilità della situazione ci impone, alle domande che i più si stanno ponendo in questo momento.



1. L’Iran interverrà direttamente nel conflitto?

In uno scenario fluido in cui tutto è possibile non è un’opzione da escludere tout court, ma appare assai improbabile che Teheran possa decidere di esporsi in questo modo in una guerra che sa già di non poter vincere, e che aggraverebbe la sua già fragile situazione interna. Inoltre, le sanzioni occidentali hanno indebolito la capacità del Paese di potenziare il proprio arsenale militare convenzionale, acuendone arretratezza e debolezza in caso di un conflitto diretto con Israele. La Repubblica islamica potrebbe intervenire con i suoi proxy: Hamas, Hezbollah, gli Houti yemeniti, le milizie sciite iraniane vicine a Teheran. Tuttavia, al momento, si tratta di “anatre azzoppate” dopo i colpi inferti da Israele ai loro leaders, specie nel caso di Hamas e Hezbollah. È possibile che vi siano risposte circoscritte (attentati in ambasciate, bombardamenti mirati, etc.) ma probabilmente poco incisive.



2. Quando e se si fermerà Israele?

Battere il ferro finché è caldo: questa è l’opzione che Netanyahu sembra voler percorrere. Dopo aver ucciso alcuni vertici di Hamas, tra cui il celebre capo dell’ala politica, Haniyeh, proprio mentre si trovava in Iran, ha indirizzato le sue forze verso il nord al confine con il Libano. Dopo la detonazione di cercapersone, motori di auto, pannelli solari etc. in dotazione ai vertici di Hezbollah – in cui Israele ha dimostrando una forte capacità di penetrazione nelle filiere produttive di questi oggetti, attraverso società off-shore – Tel Aviv ha proseguito con bombardamenti quasi senza pari per sgominare l’organizzazione. Ora è la volta degli Houti. L’Idf (forze di difesa israeliane) hanno attaccato obiettivi militari del regime terroristico nelle aree di Ras Issa e Hodeidah nello Yemen puntando su centrali elettriche e porti che vengono utilizzati per importare petrolio. Israele, per ora non si fermerà.



3. Che ruolo possono giocare gli Usa?

Sappiamo che gli Stati Uniti sono i più importanti sostenitori di Tel Aviv ma al di là di qualche appello per tentare almeno una tregua, sono riusciti a fare ben poco in termini diplomatici. Le armi e il sostegno americano sono fondamentali e non mancheranno sia che dalle urne delle elezioni presidenziali 2024 esca vincente Kamala Harris sia Donald Trump. Nel caso di una vittoria democratica, poi, la revoca delle sanzioni, un’ipotesi sul tavolo, potrebbe tenere a bada l’ayatollah Khamenei da ambizioni di escalation contro Israele.

4. Ci sarà un’incursione di terra da parte di Israele in Libano?

Strategicamente Israele non trarrebbe molto vantaggio da una offensiva di terra in tutto il Libano. Potrebbe inviare alcuni uomini per aiutare la popolazione sfollata dopo i bombardamenti a tornare nelle loro case. Aprire un nuovo fronte a nord (seppure oramai quello di Gaza impegna meno le forze dell’Idf) utilizzando uomini e mezzi terrestri non avrebbe nessuna convenienza ora che i vertici di Hezbollah sono stati decimati e l’offensiva aerea sembra dare i suoi frutti. È probabile che Israele non arrivi a rischiare tanto ora che la ruota gira decisamente a suo favore.

5. I Paesi della regione stanno a guardare?

Al di là dei tentativi di mediazione da parte del Qatar, dell’Egitto, della Giordania e di altri Paesi, tentativi fin qui falliti, c’è un elemento dirimente in questa guerra: il ruolo dei Paesi del Golfo. Molti degli attori che combattono contro Israele, dall’Iran ai suoi proxy, hanno un chiaro obiettivo: evitare che si “saldino” ancora di più gli Accordi di Abramo, siglati, sotto l’egida di Trump, nel 2020. Accordi di cooperazione economica e militare tra Israele da un lato e Marocco, ma soprattutto Emirati Arabi Uniti e Bahrain, dall’altro, che avrebbero dovuto essere allargati anche all’Arabia Saudita e che, per quanto riguarda i firmatari, sono ancora in piedi anche se in maniera più “silente”. Detta in altri termini l’obiettivo dei nemici di Israele è spezzare gli accordi di Abramo evitando che si crei un fronte compatto contro l’Iran e suoi alleati. Per Israele tenere in piedi questi accordi e allargarli ad altri Paesi vale, forse, più della morte di qualunque leader filo-iraniano. Per questo Tel Aviv sta mostrando i muscoli e facendo valere quello storico principio di invincibilità che ne fa una garanzia per possibili alleati e che, per questo, non può permettersi di vedere scalfito.

Sono solo alcune domande che in questi giorni frenetici ed incerti è normale porsi. Non sappiamo se tutto andrà come descritto in queste righe. Il contesto è fluido e gli attori piuttosto propensi a mosse inaspettate. Una cosa, però, appare certa e costante (non solo nel conflitto in Medio oriente): cercasi Europa disperatamente.

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