Il piano Blinken può essere la soluzione, ma all’Autorità nazionale palestinese deve essere dato un potere effettivo. Non può tornare a Gaza facendo il poliziotto per conto di Usa e Israele: va tolto il blocco alla Striscia che esercitavano gli israeliani e i palestinesi dovranno poter vivere liberamente. L’idea di togliere Hamas dalla Striscia e di far gestire il territorio all’Anp, messa sul tavolo in questi giorni dal segretario di Stato Usa, potrebbe funzionare ma in un contesto totalmente diverso da quello attuale, altrimenti fra due o tre anni, anche se Hamas non ci sarà più, nascerà un’organizzazione simile o una sua nuova versione e saremo ancora punto e a capo.



Camille Eid, giornalista libanese residente in Italia e collaboratore di Avvenire, spiega così i punti deboli della proposta avanzata dall’amministrazione americana, che deve fare i conti, comunque, con un governo Netanyahu che continua imperterrito nella sua operazione militare e che ha nominato capo della sottocommissione parlamentare per la Cisgiordania Tzvi Sukkot, del partito ultranazionalista.



Intanto i Paesi confinanti con Israele restano un po’ defilati, compreso l’Iran, magari per ottenere un vantaggio nel dopoguerra controllando il Libano, così come faceva un tempo la Siria. Proprio in Libano gli israeliani hanno ucciso con un drone una nonna e i suoi tre nipoti che viaggiavano su un’auto: la loro tesi, anche stavolta, è che stavano intercettando dei terroristi. Un episodio grave che alza la tensione con Hezbollah: il suo capo Nasrallah nel suo discorso di venerdì aveva promesso che, se Israele avesse toccato i civili, avrebbe ottenuto una risposta dello stesso tipo.

Il piano Blinken, che prevede il ritorno dell’Anp nella Striscia di Gaza, può essere una base sulla quale costruire la pace tra Israele e Palestina?



Parlano tutti di Hamas come di una realtà che può scomparire in quattro e quattr’otto, ma dimenticano che è presente anche in Cisgiordania, dove non vengono indette le elezioni dal 2006 proprio per non correre il rischio che vinca. Se anche scomparisse il suo braccio militare, comunque, l’ideologia rimarrebbe. Diamo per scontato che si riesca a togliere di mezzo 30mila miliziani o quelli che sono, ma se all’Anp, con il supporto di forze internazionali, non viene dato il potere per governare la situazione, fra due o tre anni saremo ancora da capo, con una versione aggiornata di Hamas. Ricordiamoci che quest’ultima ha preso piede nella Striscia dopo che i negoziati di Israele con l’Anp erano arrivati a un punto morto.

Ma l’Autorità nazionale palestinese può essere un interlocutore serio?

L’opinione pubblica mondiale chiede un interlocutore valido, ma anche i palestinesi chiedono un interlocutore israeliano dello stesso tipo. Invece nel governo Netanyahu c’è chi chiede il trasferimento dei palestinesi e gli ufficiali nei loro discorsi ai soldati israeliani dicono che la terra per cui combattono è la loro. Inoltre è stato nominato Sukkot per occuparsi della Cisgiordania: è la stessa persona che chiedeva di espellere i palestinesi tout court verso la Giordania. Come responsabile di questo dossier hanno nominato il falco dei falchi.

Come si fa allora a trovare una soluzione politica?

Ci vuole una soluzione chiara: bisogna tornare tendenzialmente sul binario fissato dagli accordi di Oslo. Allora si parlava di territori ceduti dagli israeliani in cambio di pace, ma erano i confini del ’67, non metà della Cisgiordania come oggi. Assassinato Rabin i negoziati non hanno portato a niente, il che ha fatto perdere speranza ai palestinesi, facendoli tornare all’opzione militare. Se ci devono essere due Stati, quello palestinese non può essere diviso in tante parti, spezzettato.

C’è la possibilità di ricostruire il dialogo?

Alcuni segnali ci sono: ad Haifa 700 ebrei e arabi si sono riuniti proprio con questo spirito, quello di ricostruire la speranza. Non tutti la pensano come Netanyahu e come Hamas. Notizie che non si trovano sulla stampa occidentale, che parla dello schiaffo che Hamas ha dato il 7 ottobre all’esercito israeliano. Ma ora a Gaza si è già arrivati a 10mila morti, a quanto bisognerà arrivare per restituire l’onore all’Idf?

Chi può cambiare il corso delle cose?

Gli Usa hanno in mano le chiavi della soluzione. Possono premere su Israele ma non lo hanno fatto. Anzi, hanno aperto i loro magazzini per aiutare Israele, fornendo armi sofisticate e 10 miliardi di dollari. A Israele la guerra costa 250 milioni di dollari al giorno. Questo mentre il 96% del Congresso americano è a favore di Israele, mentre l’opinione pubblica chiede per il 66% di cessare il fuoco. Non si può andare avanti con questa barbarie, senza distinguere i bersagli civili dai miliziani di Hamas. Se il 7 ottobre Hamas fosse rimasta nei kibbutz Israele avrebbe usato lo stesso metodo? No, in quel caso non avrebbero potuto rischiare di far fuori i civili.

Al confine con il Libano continuano gli scontri, anche se il discorso di Nasrallah di venerdì scorso sembra aver allontanato scenari peggiori. C’è ancora il rischio che il conflitto si accenda anche qui?

Gli israeliani hanno colpito con un drone una macchina in Libano sulla quale viaggiavano una nonna con tre nipoti, dicendo che erano sulle tracce di terroristi. Quando l’ho sentito ho temuto che si andasse verso la guerra aperta. Nasrallah nel suo discorso ha detto che lo scambio di fuoco con Israele si sarebbe limitato ai militari, ma che se gli israeliani avessero colpito dei civili la risposta di Hezbollah avrebbe riguardato anche i civili. Spero che la guerra non veda l’inizio di un nuovo ciclo anche su questo fronte.

I Paesi arabi, intanto, sembrano un po’ defilati, non si fanno sentire più di tanto. Perché?

L’Egitto è il più silenzioso, in Giordania il popolo è in ebollizione e il re lascia fare, anche se ha ritirato l’ambasciatore da Tel Aviv e ha chiesto a quello israeliano, che era tornato nel suo Paese, di restarsene a casa. Egitto e Giordania non possono accogliere gli sfollati, neanche nell’ipotesi che si tratti di uno spostamento temporaneo. Bisognerebbe costruire dieci città per ospitare i profughi in attesa che tornino a Gaza, chi può crederci?

Dall’Iran intanto sono arrivate minacce ai soldati italiani che fanno parte della forza di interposizione che dovrebbe impedire alle parti impegnate nel conflitto di venire a contatto. Ma c’è stata anche una telefonata del presidente Raisi al Papa. Quale ruolo ha in questa crisi Teheran?

Per capire l’entità delle minacce agli italiani bisognerebbe comprendere il tono delle dichiarazioni. Certo si tratta di dichiarazioni non molto diplomatiche. In generale sulle informazioni comunque bisogna stare attenti alla macchina della propaganda. Ci sono video spacciati per attuali che risalgono ad anni fa, commemorazioni in classe di bambini deceduti che riguardano episodi accaduti in Afghanistan. Quanto a Teheran, sappiamo che è sponsor di una serie di gruppi che fanno parte dell’asse filoiraniano. Nasrallah nel suo ultimo discorso ha spiegato che né l’Iran né Hezbollah, pur restando dalla parte di Hamas, erano al corrente dell’attacco del 7 ottobre, lasciando la responsabilità ai palestinesi. Gli iraniani sembrano più concilianti, forse pensano di trarre vantaggio dalla situazione, di ottenere il controllo del Libano, come lo aveva in passato la Siria.

Israele teme un coinvolgimento dell’Iran?

Molti temono che Israele voglia provocare l’Iran per avere l’occasione di regolare i conti. Ma non c’è unanimità sull’atteggiamento da tenere con Teheran. C’è chi vorrebbe cogliere l’occasione per risolvere una volta per tutte le beghe con l’Iran e chi preferisce, invece, che ci si concentri su Gaza. Comunque la tesi avanzata qualche tempo fa secondo cui l’attacco del 7 ottobre non doveva arrivare solo da Gaza, ma anche da Cisgiordania, Golan e Libano, ora viene accreditata anche da siti della destra israeliana.

Alla fine il piano Blinken potrà costituire una base sulla quale costruire il cessate il fuoco e poi eventualmente la pace?

Biden ha detto agli israeliani di fare attenzione ai civili, ma finora non ne hanno tenuto conto. Israele finite le operazioni non vuole mantenere il controllo militare. Affidare la gestione del territorio all’Anp è una soluzione che può essere inserita nel quadro che prevede la nascita anche di uno Stato palestinese. Non so se Abu Mazen possa essere l’uomo giusto per questo. È anziano, ha 88 anni. Di certo non potrà fare il poliziotto per conto degli Usa e di Israele. L’autorità dei palestinesi deve essere effettiva: bisogna togliere il blocco realizzato da Israele intorno all’area.

La proposta fatta dalla presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen di dare potere all’Anp, fornendo garanzie sulla sicurezza utilizzando delle forze dell’Onu può avere senso?

Può servire per dare garanzie a Israele, ma l’Anp deve poter governare.

(Paolo Rossetti)

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