Si è tornati a parlare di Rafah, di un attacco imminente per stanare gli ultimi battaglioni di Hamas, ma intanto la possibilità di una guerra diretta fra Israele e l’Iran non è affatto scongiurata. Anzi, spiega Fabio Mini, generale già capo di stato maggiore della NATO per il Sud Europa e comandante delle operazioni di pace NATO in Kosovo, dopo la notte in cui quasi tutti i droni e i missili lanciati dagli iraniani sono stati intercettati, Teheran ha molte informazioni in più sul sistema difensivo israeliano e sugli Stati che hanno contribuito a neutralizzare i droni. Quello che la stampa occidentale ha presentato come una vittoria, in realtà non sarebbe stato altro che un test con l’impiego di un miliardo di dollari di armamenti per capire come si fa a saturare il sistema difensivo israeliano. Informazioni che permetterebbero ai pasdaran di riprovare l’attacco con buone probabilità di andare a segno. La tensione Iran-Israele può ancora sfociare in guerra, anche perché gli iraniani potrebbero arrivare a costruire armi nucleari. Una eventualità che Tel Aviv non vuole che si verifichi, tanto da approntare, se sarà il caso, un attacco preventivo.
Il presidente iraniano Ebrahim Raisi ha detto che, se Israele dovesse attaccare l’Iran, dello Stato ebraico non rimarrebbe niente. La crisi fra Tel Aviv e Teheran può ancora riaccendersi? Se non altro perché il regime degli ayatollah potrebbe procurarsi armi nucleari?
Non credo che la crisi fra Israele e Iran sia finita e non per colpa di Teheran. Israele ha accantonato la risposta massiccia ipotizzata in un primo momento a causa di pressioni esterne e per quello che è successo durante la reazione iraniana. Tutti si sono fermati al fatto che quasi tutti i droni e i missili sono stati intercettati e l’hanno etichettata come una grande vittoria. Tanto che Zelensky ha chiesto di avere gli stessi sistemi difensivi di Israele. La realtà è che questi raid sono test, non veri e propri attacchi, e quello della notte fra il 13 e il 14 aprile ha dato molte informazioni utili anche all’Iran. Come a Israele.
Intende dire che adesso gli iraniani hanno le informazioni per fare veramente male a Israele, senza limitarsi più a un attacco dimostrativo?
Secondo le stime di un analista americano gli iraniani avrebbero usato in una notte armamenti per un miliardo di dollari, facendo fuori 300 pezzi di ferro, perché la tecnologia utilizzata in quell’occasione è stata veramente povera. Se per caso sono arrivati vicino alla saturazione di sistemi avanzatissimi, riuscendo a capire cosa ci sarebbe voluto per saturarli completamente, avrebbero ottenuto una bella informazione. Gli iraniani sanno anche chi ha contribuito all’intercettazione dei droni. Se è prevedibile la contraerea partita da Cipro, dall’Arabia e dagli inglesi, non lo è tanto quella proveniente dalla Giordania, da qualche portaerei o dal territorio siriano, inviata dagli americani. Anche sotto questo punto di vista se gli iraniani hanno individuato da dove sono arrivati gli aiuti alla difesa israeliana hanno acquisito informazioni importanti. Credo che da subito dopo l’attacco abbiano iniziato una caccia al traditore o al nuovo nemico tra tutti i Paesi arabi del Medio Oriente.
Il coinvolgimento di altri Paesi nell’intercettazione dei droni cosa significa? Possiamo dire che si è creata una nuova alleanza di Paesi che, se non sono proprio dalla parte di Israele, di certo non vedono di buon occhio neanche l’Iran?
Si può dire ed è vero. Questi Paesi si stanno chiedendo, tuttavia, se vale la pena correre il rischio di stare del tutto dalla parte di Israele. Se l’Iran incomincia ad annoverarli tra quelli da battere è un pericolo. E lo è anche per Israele e gli americani: in questi Paesi, infatti, ci sono basi americane.
Israele ha già rinunciato ad attaccare l’Iran?
Non credo proprio. Sa che dalla notte dell’attacco l’Iran sta facendo i conti a tavolino. E la stessa cosa sta facendo Israele. Se per caso gli iraniani dovessero decidere un altro attacco del genere non sarebbe più come il primo, ma con salve di droni e altre armi da più direzioni, non escludendo i missili balistici ad alto potenziale. Se anche ne passa uno su dieci, quello che non viene intercettato va su Tel Aviv.
Gli iraniani sarebbero a poche settimane dall’avere l’arricchimento dell’uranio sufficiente per realizzare armi nucleari. Se gli israeliani fossero sicuri che il pericolo è imminente interverrebbero?
Sì, ma anche se non fossero sicuri. I loro obiettivi sarebbero i siti dove stanno realizzando i test per arricchire l’uranio. L’Iran ha sempre detto che non vuole arrivare al grado di arricchimento necessario per le armi. Se Israele, però, dice che è il contrario, lo fa credere a tutti e alla prima occasione tira fuori il pretesto che sono vicini all’arricchimento o alla costruzione delle armi può decidere un attacco preventivo. Lo ha già fatto con l’Iraq. Poi non c’era niente di solido, ma tutti ci hanno creduto e l’Iraq ha di certo rinunciato ad arricchire l’uranio.
Dunque le schermaglie verbali fra iraniani e israeliani in realtà coprono una situazione che è ben diversa da quella che leggiamo sui giornali.
Stanno valutando come sfruttare le informazioni raccolte nell’attacco iraniano. Se l’Iran si ferma qui, vuol dire che sa che non è in grado di fare niente e prende tempo. Se invece ha tratto informazioni che confermano la possibilità di fare il colpo grosso, allora potrebbe agire.
La guerra potrebbe essere non solo fra Iran e Israele, ma coinvolgere Giordania e Arabia Saudita. Ci potrebbe essere invece una saldatura fra i due principali conflitti in atto, quello in Ucraina e quello in Medio Oriente?
Una saldatura dei due conflitti no, ma una saldatura dello schieramento occidentale che per adesso sembra unito a sostegno dell’Ucraina sì. Quello che potrebbe verificarsi è che Occidente, USA ed Europa combattano la Russia e che facciano la stessa cosa contro l’Iran, anche se i due conflitti andranno avanti separati. Secondo fonti americane c’è una vulnerabilità di base degli Stati Uniti. Non possono affrontare due conflitti regionali. Se poi si destabilizza il rapporto con la Cina, qualcuno dovrà scegliere dove mandare i missili. La teoria per cui gli USA dovevano avere la capacità militare di sostenere e vincere due conflitti regionali contemporaneamente è passata da tempo. Non hanno questa capacità, si rendono conto che essere coinvolti su due fronti, con due avversari separati, è insostenibile.
La Cina in questo caso potrebbe sfruttare la situazione attaccando Taiwan? Pechino può giocare un ruolo in Medio Oriente?
Ci dovremo preoccupare per Taiwan quando vedremo la Cina non intervenire neanche a livello diplomatico negli altri conflitti del mondo. In Medio Oriente potrebbe restare a guardare, ma si tratta di sguardi allusivi. Pechino ha connessioni mastodontiche con i Paesi arabi, che ormai hanno in mano l’economia mondiale e stanno facendo un grande favore alla Cina: tengono gli USA soggetti al grande capitale e alla grande finanza araba. La Cina ha ridotto di molto investimenti e quote di debito americano, ma queste quote sono state prese dai Paesi arabi. Questi ultimi avevano cominciato la normalizzazione dei rapporti con Israele con i Patti di Abramo, ma è una decisione che costa politicamente. E l’Arabia Saudita e anche l’Egitto cominciano a non fidarsi più degli americani.
(Paolo Rossetti)
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