Il Medio Oriente è in subbuglio e i focolai di conflitto si moltiplicano. Il centro della destabilizzazione è la Siria, che ha visto il riaccendersi degli scontri dopo l’ingresso nel suo teatro della Turchia di Erdogan, con la scusa di voler allontanare i curdi. Ma come siamo arrivati al disordine attuale? Analisti ed esperti militari sono concordi nell’individuare la causa scatenante dello sconquasso mediorientale: la guerra in Iraq del 2003. E oggi, perché la Turchia, in quegli anni vicina all’Europa, ora guarda a Est e pratica una politica di potenza? Perché l’Europa ha ormai abbandonato ogni prospettiva di coordinamento in politica estera? Il Sussidiario ne ha parlato con un protagonista della politica estera di quegli anni, Franco Frattini, per due volte ministro degli Esteri ed ex vicepresidente della Commissione europea, che offre una chiave di lettura in retrospettiva capace di portare al cuore e alla radice del caos mediorientale attuale.



Analisti e militari concordano che la guerra in Iraq nel 2003 ha destrutturato il Medio Oriente, portando al caos che vediamo. Lo conferma?

Questo è esattamente ciò che mi disse l’allora presidente egiziano Hosni Mubarak. L’Egitto era uno dei più forti alleati dell’Occidente. Mi confidò: “La missione in Iraq, con l’azione unilaterale anglo-americana, creerà i presupposti per lo scardinamento degli equilibri dell’area”. Noi non gli credemmo, anche se bisogna ricordare che l’Italia è arrivata in Iraq dopo la delibera Onu, perché la nostra Costituzione impedisce di partecipare ad azioni di guerra. Ma non è stato l’unico errore, forse neanche il più grande.



E quale sarebbe stato questo sbaglio?

Una volta assunto il controllo dell’Iraq, gli anglo-americani hanno identificato il partito Baath con Saddam Hussein, come se tutti i funzionari pubblici fossero suoi seguaci. L’Iraq non era la Libia, aveva una burocrazia che funzionava, così come funzionava in Siria. E i funzionari non erano uomini di Saddam, la distruzione della burocrazia ha portato queste persone da un giorno all’altro a trovarsi senza lavoro. E loro ci hanno ripagati disseminando l’intero Medio Oriente di odio anti-occidentale. Noi cercammo in tutti i modi di evitarlo, premendo sul presidente Bush, ma senza successo.



Un altro focolaio è quello della Turchia, che ai tempi della guerra in Iraq era pure vicina ad un possibile ingresso in Europa. Poi che cosa è successo?

È cambiato il mondo. All’epoca, insieme al mio collega britannico, avevamo fondato il gruppo “Friends of Turkey”, con il compito di attuare azioni positive per allargare l’Europa alla Turchia, il che ci avrebbe aiutato moltissimo. Ai tempi, grazie al mio impegno, il partito Akp di Erdogan, che in quegli anni era un politico in ascesa, era diventato membro osservatore al Parlamento europeo.

E poi che cosa è andato storto?

Chirac e Schröder ci dissero di farla finita con questo tentativo, perché tutt’al più con la Turchia si sarebbe arrivati a un partenariato speciale. Bisogna conoscere la storia turca: è ottomana e post-ottomana, è un popolo che non si dimentica di essere erede di un grande impero. Non accettarono gli schiaffi dell’Europa e il loro orgoglio nazionale li ha fatti voltare da un’altra parte: alla Russia, all’Iran, a un ruolo di potenza regionale in Medio Oriente.

È quello che sta accadendo oggi. Fu l’unica motivazione?

Oltre a questo schiaffo ci furono le crisi migratorie e l’islamizzazione sempre più dura del partito di Erdogan. Oggi questo processo è irreversibile, per scelta stessa della Turchia.

L’Europa sembra aver perso gran parte dell’attrattiva anche per Paesi che ne furono fondatori. Le carenze maggiori si notano proprio nella politica estera. Sull’invasione di Erdogan in Siria, per esempio, l’Ue non ha saputo avere una voce comune. Perché?

Rispetto a quei tempi c’è stato un degrado progressivo dei rapporti tra gli Stati europei sui temi della sicurezza, della lotta al terrorismo, dell’immigrazione. Un’Europa a 27 non si governa come una a 14, prima dell’allargamento a Est avvenuto nel 2004: già con 24 membri era diventato tutto più complicato. Negli ultimi anni ho visto l’Europa votare in tre modi diversi sulla crisi israelo-palestinese: un gruppo a favore di Israele, uno pro palestinesi, un altro che si asteneva. Peggio di così…

Un’altra prospettiva dimenticata da tempo è quella di creare un esercito europeo. Oggi l’Ue si accontenta di avere un Alto rappresentante per la politica estera, che di alto però ha solo di nome…

Proprio io parlai di esercito europeo nel mio discorso di insediamento, quando l’Italia diventò presidente di turno dell’Europa nel 2003. Il giorno dopo uscì un articolo sul Financial Times che diceva: arrivano dall’Italia a farci perdere l’esercito della corona. Ma oltre al Regno Unito, e tranne forse Francia e Germania, anche gli altri Paesi si mostrarono riluttanti.

Il collasso delle relazioni internazionali di cui si parla spesso ha colpito anche i rapporti tra Stati Ue?

Sì, è uno scollamento dovuto alla mancanza di valori guida, ed è un fatto gravissimo. Come può essere rispettato il principio della fiducia reciproca, un pilastro del trattato europeo, se l’Italia viene lasciata sola davanti agli sbarchi a Lampedusa? Come può esserci fiducia se non si scambiano informazioni sui terroristi? L’attentatore del mercatino di Bruxelles ha attraversato ben 4 Paesi europei prima di essere arrestato in Italia. Stessa storia per i terroristi del Bataclan, che hanno varcato diverse frontiere prima di essere fermati. Tutto ciò può accadere solo perché questa fiducia totale, anche nell’intelligence, non c’è più.

(Lucio Valentini)