Si diceva già che per conoscere la realtà occorre realismo, ma fa parte di questo realismo un uso della ragione “ragionevole”.

È ragionevole contestare un arbitro che nega un rigore che anche al Var sembra evidente, ma chiedere il suo deferimento alla Corte europea dei diritti dell’uomo mi sembrerebbe un po’ esagerato. È ragionevole insegnare ai bambini un comportamento morale, ovvio. Magari, se sono ancora piccoli, personalmente non insisterei molto su il “non desiderare la donna d’altri”, a meno che la loro tata sia proprio difficile da sopportare. È assolutamente logico chiedere che dopo un conflitto si pensi ad assicurare alla giustizia chi si è macchiato di crimini di guerra, ma l’esperienza ci insegna che non è ragionevolmente sempre possibile. A volte, per una ragione di pacificazione, conviene soprassedere con una “ingiusta” amnistia.



Una soluzione ragionevole deve tenere conto di tutti i fattori in gioco, perché una somma giustizia non si trasformi in una grande ingiustizia: “summum ius summa iniuria”.

Questi ragionamenti, appunto, che possono sembrare teorici, ci portano a considerazioni molto pratiche a proposito del tentativo di stipulare una “pace giusta” nella guerra in Ucraina.



In una contesa in cui all’inizio non si era d’accordo neanche su come chiamarla (i russi “operazione speciale militare”, il resto del mondo semplicemente “guerra”) pensate come sarebbe ragionevolmente impossibile definire il contenuto delle responsabilità morali.

Se poi passiamo agli aspetti materiali, all’immenso compito della ricostruzione di una buona parte del Paese, credete che sarebbe facile prendersi a carico il compito delle riparazioni? A meno che, come più volte osservato, la pace, o meglio le condizioni della pace, siano stabilite da un vincitore. Si, ma da quale vincitore?



I vincitori della seconda guerra mondiale, a cominciare dagli Stati Uniti, il cui contributo fu determinante per la vittoria, stabilirono le condizioni, ma si addossarono anche iniziative come il Piano Marshall, che non avevano innanzitutto la preoccupazione di ricostruire un’Europa in gran parte bombardata anche da loro. Gli aiuti, frutto certamente anche di una generosità di una parte della popolazione americana, contribuirono certamente a legare al fronte occidentale popoli tentati dall’illusione del comunismo.

Sarà ragionevolmente difficile trovare sponsor disinteressati per la ricostruzione dell’Ucraina, ma certamente se il popolo troverà una forma di unità per difendersi da intromissioni troppo interessate, poco a poco, andrà meglio.

Poco a poco, come ci suggerisce una ragione adeguata alla situazione.

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