La guerra in Ucraina dura da più di 40 giorni e l’escalation delle reciproche accuse dopo le atrocità emerse a Bucha e Borodyanka lascia presagire che il conflitto durerà ancora a lungo. Anche perché, come sottolinea Toni Capuozzo, inviato di guerra ed esperto di geopolitica, “Stati Uniti e Gran Bretagna sembrano volere fortemente la continuazione del conflitto fino a quando Putin non ci lascia le penne: vogliono la fine dello zar russo, non la fine della guerra”.
Il governo ucraino parla di oltre 5mila vittime e una città quasi distrutta. Cosa sta succedendo a Mariupol?
È una città che ha una storia molto tormentata: è stata in mano ai secessionisti del Donbass, poi riconquistata dagli ucraini con il battaglione Azov, una presenza che però non è apprezzata da tutti gli abitanti. È anche la città di Marianna Vyshemirskaya, la donna incinta che ha raccontato due versioni diverse sul bombardamento dell’ospedale. Siamo in mezzo a due fuochi: da una parte la propaganda russa e dall’altra quella ucraina, e dobbiamo guardarci da entrambe. Vorrei però ricordare che Mariupol è russofona e alle elezioni i filo-russi hanno raggiunto il 70%.
Intanto il comune di Mariupol ha riferito che in città i soldati russi hanno allestito crematori mobili per bruciare i corpi degli abitanti uccisi e coprire le tracce dei crimini contro i civili.
Si era parlato di crematori mobili già a inizio invasione, perché i russi se li erano portati dietro con i loro convogli diretti in Ucraina. Ma dovevano servire per i propri soldati morti.
Kiev invita la popolazione a evacuare tre regioni orientali, quelle di Lugansk, Donetsk e parte della regione di Kharkiv. Dopo il ritiro dalla capitale, i russi riprenderanno gli attacchi, ma non si disperderanno più su più fronti, come in questa prima fase del conflitto, concentrandosi soprattutto sul Donbass?
Credo che sarà proprio il Donbass la battaglia finale. La conquista di tutto il Donbass è il minimo sindacale per consentire a Putin di dire che è finita la guerra, senza dover fare i conti con una sconfitta da giustificare davanti al popolo russo.
E nel resto dell’Ucraina?
Continueranno gli attacchi con i missili balistici, e qua e là l’esercito russo manterrà la pressione militare per tenere impegnate le truppe ucraine, impedendo loro di convergere in massa sul Donbass.
“La mia agenda è molto semplice, ha solo tre temi: armi, armi, armi” ha detto alla Nato il ministro degli Esteri ucraino Dmytro Kuleba.
Stati Uniti e Gran Bretagna soprattutto sembrano volere fortemente la continuazione del conflitto fino a quando Putin non ci lascia le penne: vogliono la fine dello zar russo, non la fine della guerra.
“Dobbiamo essere preparati per un lungo conflitto e sostenere l’Ucraina”: lo ha dichiarato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg. Dobbiamo davvero aspettarci un’invasione-occupazione che potrà durare anni?
Una guerra lunga è proprio quello che vuole la Nato e lo scenario è plausibile se tutti gli alleati si comporteranno come soldatini ordinati. Lo stesso Stoltenberg ha riportato le sorti della guerra alla casella iniziale: riproponendo le porte aperte all’adesione di Kiev alla Nato, non fa altro che rilanciare l’invito a continuare il conflitto. Il mio auspicio è che l’Europa ritrovi un po’ di buon senso.
Gli eccidi di Bucha, di Borodyanka, di Hostomel e di altre città ucraine che cicatrici lasceranno sul futuro di questo conflitto? Siamo destinati ad assistere a una violenta escalation della guerra?
Ogni guerra all’inizio viene combattuta con una qualche pretesa innocenza. Si pensi al fatto che la Russia ha lanciato questa invasione con la scusa che andava a proteggere le popolazioni del Donbass e a denazificare l’Ucraina. Ma il trascorrere della guerra fa perdere questa innocenza: i soldati vedono cadere i commilitoni che gli dormivano accanto, i civili assistono all’uccisione dei vicini e al saccheggio delle loro abitazioni, si assiste al tragico compiersi di misfatti e atrocità di ogni genere. È il caso di quel prigioniero ucraino che, pur non avendo subìto torture ma una detenzione severa e aver visto violenze su altri prigionieri, in un’intervista ha dichiarato: “Adesso sono pronto a morire per l’Ucraina, sono pronto anche ad uccidere per l’Ucraina”.
Queste atrocità stanno scavando fossati d’odio sempre più incolmabili?
Sì, sono fossati che resteranno per generazioni. I popoli slavi hanno una memoria lunga. Gli ucraini oggi parlano dell’Holodomor, la carestia procurata, se non voluta, da Stalin negli anni Trenta, come di una tragedia recente. E i russi del Donbass davanti al viale intitolato a Stepan Bandera, il collaborazionista nazista degli anni Quaranta, riscoprono il loro nazionalismo come se quei fatti fossero stati commessi l’altro ieri. Le buche scavate dalle bombe sono niente davanti alle trincee che stiamo scavando tra gli animi di russi e ucraini.
Dopo Erdogan, anche Orbán si è offerto per mediare fra Putin e Zelensky. Che spazio resta per i negoziati fra i due contendenti?
Chiunque tenti qualcosa è benvenuto, anche se Erdogan e Orbán non mi sembrano campioni della democrazia. Anche perché i campioni della democrazia sono impegnati a comminare sanzioni e a mandare armi… C’è più spazio per le trattative da parte russa, se son vere le bastonate che hanno preso e visto che ormai controllano tutta la costa del Mar d’Azov in continuità con la Crimea. È una situazione che potrebbe assomigliare a qualcosa di soddisfacente per Mosca.
Ma non per Kiev?
Temo che a Zelensky non vada bene, per lui l’integrità territoriale dell’Ucraina non può essere minimamente messa in dubbio.
Zelensky chiede un inasprimento delle sanzioni e l’Europa ha varato il suo quinto pacchetto di misure punitive. Stanno funzionando?
Credo che queste sanzioni siano un caso piuttosto raro: fanno più male ai sanzionatori che ai sanzionati. Oltre tutto la Russia è un paese pachidermico, ha la capacità di affrontare le restrizioni molto più di noi, abituati al felice consumismo occidentale. I russi campano su un’economia chiusa, stagnante, di sussistenza. Noi soffriremo per le carenze di grano o dei fertilizzanti, loro sono più autarchici e per certi aspetti più invulnerabili alle sanzioni.
Ria Novosti domenica ha pubblicato in un editoriale la road map di Mosca, che punta a “denazificare l’Ucraina”, cancellandone il nome e “rieducando la popolazione”, con un’operazione che richiederà 25 anni: non mette i brividi un programma che ricorda i pogrom staliniani o la folle rivoluzione di Pol Pot e dei khmer rossi in Cambogia?
Non può mettere i brividi il fatto che ci sia qualcuno che abbia dei sogni che assomigliano a incubi. Fosse questo il progetto, Putin non riuscirà mai nell’intento.
Perché?
L’esempio incoraggiante arriva dalla fermezza degli ucraini disarmati, come a Kherson: nonostante la presenza nelle strade dei carri armati sovietici, gli abitanti sono scesi a manifestare, lasciando intendere che cosa potrà essere una loro resistenza passiva. Al giorno d’oggi non si controlla un popolo con il tallone di ferro se quel popolo non vuole.
Qual è allora il piano di Putin?
Putin non è un pazzo, credo che il suo piano sia molto più realista. E il nostro compito è cercare di capire cosa abbia in mente.
(Marco Biscella)
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