L’Ucraina sarebbe disposta a un compromesso con la Russia se Mosca si ritira “sulle posizioni del 23 febbraio”, ha detto ieri Zelensky secondo quanto riferito dall’Ansa. Durante un video-collegamento con uno think tank britannico, Zelensky ha spiegato di non essere stato eletto presidente di una “mini-Ucraina”, con evidente riferimento all’integrità territoriale dello Stato. Potrebbe significare un riconoscimento della sovranità russa sulla Crimea, ma non sul Donbass. “Il timore per Kiev è che più avanti si andrà e più i russi avranno la possibilità di occupare ulteriori territori”, secondo Mauro Indelicato, giornalista di InsideOver. Ma i russi “hanno comunque occupato nuovo terreno e non sembrano molto intenzionati ad andarsene. Per questo la proposta di Kiev, se confermata, potrebbe essere tardiva”.



Intanto Biden ha chiesto agli alleati più armi; su questo l’Italia lo ha anticipato, perché giovedì il ministro della Difesa Guerini ha assicurato una nuova fornitura di armi “offensive”. Una scelta necessitata dalla nostra collocazione internazionale, rispetto alla quale – dice ancora Indelicato – “non abbiamo margini di manovra”.



L’altro fatto saliente occorso nella giornata di ieri riguarda la fregata russa Admiral Makarov, colpita da missili antinave lanciati dagli ucraini secondo uno schema consolidato, che prevede informazioni di intelligence occidentali e dito sul bottone da parte ucraina.

Zelensky avrebbe aperto a una trattativa con la Russia senza restituzione della Crimea. È una proposta percorribile?

La proposta è senz’altro percorribile, ma rischia di essere tardiva. Perché nel frattempo sono stati aperti altri fronti, con i russi che, pur se in difficoltà, hanno comunque occupato altri territori in Ucraina e non sembrano molto intenzionati ad andarsene.



Dunque non sei particolarmente ottimista?

Quello relativo alla Crimea è soltanto uno dei tanti nodi aperti e se su questo versante dovesse arrivare un accordo, non credo si avrà comunque un cessate il fuoco.

Perché adesso? Kiev pensa di non avere in futuro una situazione più vantaggiosa di quella attuale?

Forse, ma la mia è solo una supposizione, in Ucraina si sta valutando in modo più attento la situazione sul campo. Anche se la resistenza da parte dell’esercito di Kiev è stata molto forte e ben organizzata, ad ogni modo le truppe ucraine sono sempre più a corto di uomini e di carburante. Gli aiuti occidentali possono rimpiazzare le armi andate perdute in battaglia, ma non certo i caduti e né è possibile nel breve termine risolvere il problema dell’approvvigionamento di carburante, visti i tanti depositi distrutti dai raid russi. Quindi il timore per Kiev è che più avanti si andrà e più i russi avranno la possibilità di occupare ulteriori territori. Con il rischio che sul tavolo dei negoziati Zelensky nelle prossime settimane avrà tra le mani una nazione sempre più ridimensionata.

Un fatto a sostegno di questa tua ipotesi?

Ieri il presidente ucraino ha ribadito in un suo discorso di essere stato eletto presidente dell’Ucraina, non di una “mini-Ucraina”. Quasi a voler sottolineare, agli ucraini prima ancora che ai russi, che perdere la Crimea potrebbe rappresentare un sacrificio da mettere in conto per provare a salvare il resto del Paese. Ma prima occorrerebbe capire quali sono i piani russi, perché a giudicare dalle mosse sul campo, a Mosca non sembrano avere molto le idee chiare.

Si è scritto molto degli errori di Mosca.

Si è passati dalla morsa attorno a Kiev a un ritiro dalla capitale nel giro di meno di un mese, segno di come al Cremlino abbiano dovuto rivedere in fretta molti piani e molte alternative. Questo ha generato confusione e non pochi malumori. Ad ogni modo, le aperture di Zelensky non credo al momento siano riuscite a scavare una breccia tra le mura del Cremlino.

A quanto sappiamo, Zelensky non ha nominato il Donbass. Perché?

Sono due questioni diverse. La vicenda relativa al Donbass è stata grossomodo regolata dagli accordi di Minsk del 2014 e del 2015, in cui le parti in causa si sono impegnate a creare una regione autonoma nell’est dell’Ucraina in cui garantire la reintroduzione della lingua russa e il rispetto delle minoranze russofone. Il tutto nell’ottica del mantenimento delle aree all’interno dell’Ucraina. Sappiamo come quegli accordi nel corso degli anni non hanno portato ad alcuna soluzione, ma ancora oggi potrebbero essere la base per discutere dello status di questa specifica regione.

La Crimea invece?

La Crimea nel 2014 non è stata toccata dagli accordi, è un’altra vicenda su cui nelle ultime ore per l’appunto Zelensky ha proposto una linea diversa da parte dell’Ucraina, al momento sempre orientata sul non riconoscimento dell’annessione alla Russia. Sono quindi due contesti differenti e che come tali vengono (e verranno) trattati in sede di negoziati.

Sempre a proposito del Donbass, sappiamo poco di quanto stia accadendo nei territori dell’Est. Cosa puoi dirci?

I russi avanzano lentamente, un po’ per la resistenza ucraina e un po’ per scelta tattica. Mosca ha voluto creare una zona di sicurezza attorno a Izyum, strategica località in mano alla Russia dal mese scorso, per poter fare dell’area una testa di ponte per le future offensive. Le ultime novità provengono da Severodonetsk, dove russi e filorussi dell’autoproclamata Repubblica di Lugansk starebbero riuscendo ad avanzare. La città è una roccaforte ucraina dal 2014, perderla assesterebbe un colpo molto duro nel morale delle forze di Kiev. Tuttavia i guadagni territoriali di Mosca al momento sono minimi e si potrebbe qui assistere a una nuova battaglia, lunga e purtroppo molto cruenta.

La Casa Bianca accusa di “irresponsabilità” il New York Times per aver rivelato il ruolo dell’intelligence Usa nell’uccisione da parte degli ucraini dei generali russi. Che ne pensi?

Di solito il dito contro certe indiscrezioni di stampa viene puntato da governi di Paesi in guerra. Se c’è un conflitto in corso l’amministrazione di turno cerca di evitare fughe di notizie che potrebbero essere controproducenti nell’ottica di un confronto militare. La Casa Bianca non si è limitata a smentire le rivelazioni del Nyt, ma ha parlato per l’appunto di irresponsabilità. Quindi o si tratta di un tentativo di censura poco decoroso da parte di Washington, oppure la Casa Bianca in questo modo ha dimostrato indirettamente di essere parte in causa nella guerra. Ad ogni modo, quanto trapelato dal Nyt non credo sia da catalogare nel novero delle fake news. L’aiuto offerto dall’intelligence Usa all’Ucraina non costituisce affatto un segreto.

Supporto attivo dell’intelligence Usa e “responsabilità” ucraina: è il modus operandi al quale l’Occidente continuerà ad affidarsi?

Sì, un modo quasi di “lavarsi le mani”. Come dire, “noi le indicazioni le diamo, poi sono gli altri a decidere di premere il grilletto”. Ma è chiaro che se a un esercito in guerra vengono rivelate informazioni delicate sul nemico, questo non se ne sta a guardare. Sfrutta le informazioni e spara sul nemico.

È lo stesso schema applicato oggi con il missile contro la fregata russa Admiral Makarov?

Se confermato il lancio di missili contro questa nave, è probabile che gli ucraini siano stati avvertiti della posizione del mezzo da informazioni dei servizi occidentali. Lo schema per l’appunto sembra oramai molto ben oliato.

La fornitura di armi “offensive” italiane assicurata dal Governo fa seguito alle dichiarazioni di Austin di settimana scorsa e prepara il viaggio di Draghi a Washington. Atto dovuto?

Il governo, sotto il profilo prettamente politico, non poteva fare altrimenti. All’Italia è stato chiesto, da parte degli Usa, di attuare una linea volta a un sostegno militare concreto all’Ucraina. E Roma non aveva e non ha ampi margini di manovra.

Come cambia la nostra posizione nel conflitto?

In quanto membro della Nato all’Italia è stata chiesta dall’inizio della crisi una chiara scelta di campo. Gli Usa sono a conoscenza dei nostri rapporti commerciali e, perché no, anche culturali con la Russia. Da qui una prova di “fedeltà” alle posizioni dell’Alleanza Atlantica che ha posto Roma sulla linea dei più “intransigenti” contro la Russia. Vale per le sanzioni e anche per le armi. Questo ha fatto del nostro Paese un attore sempre meno propenso a una mediazione e sempre più parte in causa contro Mosca.

(Federico Ferraù) 

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