Give me back the Berlin wall give me Stalin and St. Paul give me Christ or give me Hiroshima… Things are going to slide, slide in all directions won’t be nothing nothing you can measure anymore The blizzard, the blizzard of the world has crossed the threshold and it has overturned the order of the soul… I’ve seen the future, brother It is murder”.



E’ il 1992 e Leonard Cohen profetico più che mai, cantava di un futuro rubato, desiderando un passato che agli occhi della storia era sembrato terribile ma che agli occhi del futuro sarebbe stato ancora più oscuro. E l’attualità di questo album, The future, di queste parole, di queste speranze uccise da uomini mediocri e più spaventosamente attuale che mai. Ed è nella mediocrità degli uomini al potere, che siedono nei palazzi alti che risiede la paura nei confronti della luce.



Ma che significato ha la paura, il timore e il senso del futuro perso di Cohen con quello che viviamo oggi con l’invasione da parte della Russia in Ucraina?  E’ l’orrore. Cohen canta l’orrore in The Future. Canta l’orrore che l’uomo ha già portato nel passato e che come un veleno ben conservato trascina con sé , con l’intento di avvelenare e uccidere la specie umana.

Canta dell’odio, del bisogno dell’uomo di prevalere sulle razze diverse. “Occupare” il futuro, oscurarlo,  così come avviene oggi in Ucraina. Quello che questa guerra sta portando è oscurare la storia, cancellare una terra, occuparla e sottometterla. L’oscurità che si sente nelle parole e nella musica di Leonard Cohen è l’oscurità che la guerra ci sta portando, perché non c’è niente di più oscuro della morte. Niente è senza futuro quanto bambini lasciati morire sotto le bombe, anziani che si trascinano dalle rovine delle proprie case, costretti ad abbandonare la loro vita, la loro storia personale. Perché distruggere una casa è distruggere un uomo. La guerra è il male ed il male che genera la guerra rende il futuro nero. Tanto è oscuro il futuro nelle parole di Cohen e nei suoi occhi da fargli desidera un passato dal quale abbiamo fatto fatica ad allontanarci: Stalin, il muro di Berlino. Tanta è la visione così forte del male nel futuro che addirittura il cantante e poeta canadese vede un’altra Hiroshima.



La confusione che Cohen prova quando dice “When they said (they said) repent (repent), repent (repent) I wonder what they meant” (Quando hanno detto (hanno detto) pentiti (pentiti), pentiti (pentiti) mi chiedo cosa intendessero”

è la stessa confusione che proviamo oggi davanti a quello che sta accadendo. Tutto è confuso, ma la confusione ha allo stesso tempo una via di uscita. E’ la democrazia, è l’entrare in quella crepa,  quella di cui canta in Democracy che non è un brano ironico ma è un brano che sottolinea, con tutte le sue fragilità, quanto l’America con i suoi disagi, le sue guerre sbagliate, la sua povertà a tratti, mantenga ancora l’occhio vigile su quello che lui definisce “a crack in the wall”, un buco nel muro, quel senso di democrazia che non si ottiene dall’oggi al domani ma che anzi ha bisogno di una continua trasformazione, lotta e impegno costante. Anche nelle cose peggiori che ha sfornato l’America, lì si può trovare un senso di appartenenza alla democrazia difficile da sentire altrove.

Ma è ancora di più la sete per la conoscenza e la fede che portano Cohen a spazzare via l’oscurità, come a levare una tenda dal sole. Non ci si ripara più, ci si infila con tutta la testa e il cuore, con le mani incrociate e in ginocchio. Guarda quella crepa nel muro, la guarda, la osserva e la scongiura di rimanere lì. E ritrova quella crepa in Anthem quando canta “ there’s a crack in everything that’s how the light gets in” (c’è una crepa in ogni cosa ed è da lì che passa la luce) . Quella crepa è la porta per la luce, per un mondo migliore. Da quella crepa proviene la forza di un popolo che non si arrende alla minaccia della dissoluzione che una guerra può portare. Da quella crepa proviene la luce che è fede. Che proviene da chiese che sono diventate rifugio per i migliaia di cittadini costretti a nascondersi. La crepa a cui Cohen si aggrappa è la stessa solitudine di Papa Francesco.

In quella crepa si nasconde il male e il bene, in quella crepa Putin cerca di entrare attraverso le parole di un Dio che non gli darà mai l’accesso per andare oltre. No, quella crepa appartiene alle parole di Papa Francesco quando dice “In nome di Dio fermate questa guerra”. Sì, il percorso di Cohen in Anthem è doloroso e travagliato, superando il male, guardandolo, sconfiggendolo si arriva alla speranza, a quella luce.

Le parole però continuano ad allargare quella crepa e la fede:  è solo attraversando l’oscurità che si apprezza il valore della luce. E’ l’eterna lotta tra il bene e il male.  Questo è The Future, queste sono le parole di Leonard Cohen che trenta anni fa già aveva capito quanto la perdita dei valori avrebbe portato alla perdita dell’essere umano. E’ la crepa dell’anima che Cohen canta e riversa con ostinazione nei suoi testi, e si aspetta con le mani incrociate e lo sguardo verso l’alto che quella luce venga riconosciuta, perché nonostante si pensi il contrario è il buio che acceca la mente umana e provoca il male mentre la luce dona solo speranza.

E’ come canta ancora in Anthem: “Puoi sommare le parti ma non avrai la somma. Puoi dare il via alla marcia, non c’è tamburo… L’amore verrà ma come un rifugiato”. Putin ha dato via alla marcia, ma quel marciare non ha uno strumento, non ha un suono, non ha un cuore. Perché l’amore cammina con i milioni di ucraini che stanno lasciando il loro paese. Quel cammino ha la marcia, quel cammino ha un tamburo, e questo cammino che oggi appare come una crepa, è l’unica marcia che porterà alla luce.