La decisione dell’Unione Europea di aprire negoziati per l’adesione di Ucraina e Moldavia e di concedere alla Georgia lo status di Paese candidato, accompagnata dal pacchetto numero 12 di sanzioni nei confronti della Russia, di certo non abbassa la soglia dello scontro con Mosca, e sancisce la mancanza di una linea autonoma dell’Europa, che rischia di diventare, se non lo è già, uno strumento della Nato e degli Usa. Il possibile ampliamento, oltre a Kiev, ad altre due capitali ex sovietiche fa ricordare quella manovra di accerchiamento della Russia della quale Putin accusa la Nato dall’inizio della guerra in Ucraina.
Il presidente russo, spiega Marco Bertolini, generale già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi, tra cui Afghanistan, Libano, Somalia e Kosovo, nel suo recente discorso ha aperto a possibili trattative, ma alle sue condizioni, che ora sono più pesanti di quelle poste all’avvio delle operazioni militari; nel frattempo i russi hanno conquistato anche territori che prima non rivendicavano e se li vogliono tenere. Intanto Usa e Ue sembrano orientati, superando gli ostacoli dei repubblicani e di Orbán, a rifinanziare gli ucraini per sostenere il conflitto. Ma fissarsi in questa direzione potrebbe portare a condizioni peggiori di quelle attuali per l’Ucraina o a un pericoloso coinvolgimento nella guerra.
Generale, cosa suggerisce la prospettiva di allargare l’Unione Europea oltre che a Kiev anche alla Moldavia e alla Georgia? È un messaggio in direzione di Mosca?
Per l’Ucraina è un contentino, dato per scontato che non ci sono prospettive per l’entrata nella Nato. Può essere una soluzione di compromesso: Ue sì, Nato no. Mettendo insieme all’Ucraina anche la Moldavia e la Georgia si fa un dispetto alla Russia: potrebbe sembrare una marcia di avvicinamento di questi tre Paesi all’Occidente, e quindi anche alla Nato. Non è una mossa che porta alla distensione con i russi, alza il livello dello scontro. C’è da dire una cosa: dal punto di vista tattico e operativo la guerra sta sancendo la sconfitta dell’Ucraina, dal punto di vista strategico e politico i giochi non sono ancora fatti: potrebbe essere un modo per dire ai russi “Voi vincete sul campo ma noi Nato, noi Occidente, vinciamo allargando la nostra alleanza”. Non viene ampliata l’Alleanza atlantica perché non è possibile, ma un’altra realtà come l’Unione Europea.
Ue e Nato hanno una strategia in comune? Questo orientamento della Ue è anche una vittoria degli americani?
Sì. Non è che Nato e Ue si sovrappongano. L’Ue, però, è un po’ uno strumento dell’Alleanza atlantica, degli americani, da quando ha rinunciato ad avere una posizione terza. Era nata con la velleità di porsi come realtà terza fra Occidente e Oriente, tra Usa e Russia, ora vi ha rinunciato, è diventato uno strumento utile per gli Stati Uniti per attrarre sotto l’ombrello occidentale, e quindi americano, altre realtà.
Putin, intanto, dice che la pace è possibile ma alle sue condizioni. Quali sono, ancora quelle iniziali? Parla di denazificazione e demilitarizzazione dell’Ucraina, vale a dire degli stessi obiettivi indicati a febbraio 2022, al momento dell’avvio dell’operazione militare speciale?
Certo. Le sue richieste ora sono superiori a quelle dell’inizio della guerra: allora si sarebbe accontentato della non entrata nella Nato, oltre che dell’autonomia del Donbass. Adesso, invece, ha alzato la posta perché sul campo di battaglia sta vincendo: non rinuncerà all’oblast di Zaporizhzhia che ha conquistato e neanche alla parte di quello di Kherson che è sotto il suo controllo. Ha parlato anche di Odessa come di una città russa. Ribadisce che è disposto alla pace e con questa frase tende una mano, si mostra disponibile a una trattativa, mentre dall’altra parte l’Ucraina ha messo addirittura il divieto per legge di trattare con la Russia. Poi però dice anche che la pace la si può fare solo alle sue condizioni.
Un discorso che non aggiunge nulla di nuovo a quanto detto finora? Oppure ha smosso qualcosa?
Questa uscita non ha solo una rilevanza a livello interno, quello russo. Arestovich, che era il delfino di Zelensky, l’uomo caduto in disgrazia perché aveva ammesso che il missile caduto su un abitato non era stato lanciato deliberatamente dai russi, contraddicendo la versione ucraina che invece denunciava un’azione criminale delle forze armate di Mosca, ha ripreso il discorso di Putin sottolineando qualche aspetto positivo: sostiene che parlando di russi e ucraini come fratelli il capo del Cremlino ha aperto uno spiraglio che gli ucraini chiudono, perché definiscono i russi come degli orchi. Poi ha sottolineato che le operazioni militari stanno andando male e stanno costando parecchio all’Ucraina. Le dichiarazioni di Putin, insomma, hanno avuto un’eco anche in Ucraina, anche lì c’è chi le ascolta. Arestovich è la persona che quando c’è stata la vera controffensiva, quella a Nord nel settembre dell’anno scorso, aveva avuto l’incarico di eliminare i collaborazionisti.
All’Ucraina, viste le condizioni attuali, sarebbe convenuto un accordo di pace come quello che era in dirittura di arrivo in Turchia l’anno scorso?
Si sarebbe potuto arrivare a una soluzione prima, non la si è voluta perseguire perché sono stati interrotte le trattative che avevano imboccato la strada giusta. Fu Boris Johnson a convincere gli ucraini a lasciar perdere. Quello che allora l’Ucraina poteva sperare di mantenere adesso non lo può avere. A livello occidentale l’end state a cui si vuole arrivare pare sia provvisorio: un congelamento della guerra in attesa di tempi migliori. Ma di recuperare i territori occupati dalla Russia non se ne parla.
Ora sembra che il Congresso Usa la settimana prossima possa sbloccare i fondi per l’Ucraina e anche l’Ue stia cercando di mettere a disposizione nuove risorse, anche se deve far fronte al rifiuto di Orbán. Vuol dire che l’Occidente comunque vuole continuare a combattere?
Per l’Occidente e in particolare per gli americani non è accettabile che la guerra finisca con la vittoria della Russia, per questo si combatterà fino all’ultimo ucraino e fino all’ultimo europeo, anche se fino ad ora non ci hanno chiesto di combattere ma di contribuire con la nostra economia a sostenere una guerra che è loro. Una sconfitta che non si può ammettere: è questo il pericolo, che ci si voglia intestardire ad ottenere un successo militare che potrebbe anche arrivare, ma avrebbe un costo elevatissimo.
(Paolo Rossetti)
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