La notizia l’ha data Seymour Hersch, già vincitore del premio Pulitzer: Russia e Ucraina stanno trattando la pace. La linea sarebbe quella individuata dai due capi di stato maggiore Gerasimov da una parte e Zaluznyj dall’altra, puntando a definire i confini sulla linea del fronte in cambio della concessione a Kiev di entrare nella Nato, anche se condizionando l’ingresso all’impossibilità di stanziare truppe dell’Alleanza e di installare armi offensive. Un dialogo che procederebbe nonostante le obiezioni della Casa Bianca e di Zelensky, che in patria sta perdendo sempre più considerazione.



Una trattativa, osserva Marco Bertolini, generale già comandante del Coi e della Brigata Folgore in numerosi teatri operativi come Afghanistan, Somalia, Libano e Kosovo, ancora tutta da svolgere, nella quale l’ipotesi di accordo per ora formulata, in realtà, sarebbe solo una base di partenza per iniziare a discutere. E che comunque conferma la debolezza dell’Ucraina: la Casa Bianca sta per finire i fondi per sostenere Kiev e il Congresso non sembra così voglioso di approvarne altri, la controffensiva è ufficialmente fallita e Zelensky viene attaccato per la gestione del caso Poroshenko, l’ex presidente cui ha negato un viaggio all’estero per incontrare Orbán. Il leader ucraino è stato anche preso di mira dal sindaco di Kiev Vitaly Klitschko che gli ha imputato di non aver preparato il Paese a una possibile guerra.



Generale, cosa ne pensa della presunta trattativa di pace in corso tra Ucraina e Russia: si comincia almeno a parlare di fine del conflitto?

Per Zelensky accettare un negoziato in cui è disposto a perdere il territorio per cui ha combattuto equivarrebbe a una resa senza condizioni; dall’altra parte, invece, ammettere la possibilità di entrare nella Nato dell’Ucraina, anche se con l’assicurazione che non verranno schierate armi nucleari, mi sembrerebbe una resa da parte di Putin. Che ci siano dei colloqui mi pare possibile: queste condizioni, però, secondo me sono solo il punto di partenza per avviare una trattativa. Tra i due vedo comunque più praticabile il primo punto: la definizione di una linea di confine lungo quella che c’è adesso, magari con l’assicurazione degli ucraini di non volere riconquistare i territori persi e dei russi di non puntare ad altre conquiste.



Quindi cosa c’è di veramente credibile in questa eventuale trattativa?

L’unica cosa sulla quale mi sbilancerei è il fatto che ci siano dei colloqui. Non solo, ci sono anche da qualche tempo. Da quando in Ucraina tira un’aria diversa dal punto di vista politico con Arestovich, il delfino di Zelensky, che ha preso posizione contro il presidente e da quando la moglie di Zelensky ha dichiarato che non vuole che il marito si ricandidi: sono segnali che qualcosa sta succedendo, tanto da rendere plausibili anche dei negoziati. Sul fatto che, invece, il punto di caduta finale sia l’entrata di Kiev nella Nato e la cessione dei territori ai russi sarei più prudente. Posso credere più facilmente che l’Ucraina rinunci alla Crimea e al Donbass, cercando di contrattare per l’oblast di Zaporizhzhia e Kherson, anche se per Mosca questi territori sono importanti per il collegamento con la Crimea.

Intanto il segretario della Nato Stoltenberg ha detto che dall’Ucraina potremmo anche aspettarci cattive notizie, mentre gli Usa entro fine anno finiranno i soldi per sostenere l’Ucraina senza che il Congresso sembri intenzionato a spenderne altri. Per Kiev si sta mettendo veramente male?

Credo di sì. Stoltenberg è sempre stato il più fermo della Nato nel ribadire l’impegno a supportare l’Ucraina senza se e senza ma. Ha sempre mostrato fiducia nel successo degli sforzi ucraini. Il fatto che cominci a mettere le mani avanti mi pare indicativo. Dopo tutto quello che è stato detto sulla controffensiva adesso c’è un bagno di realismo che rischia di sfociare nel disfattismo. Per evitarlo si prepara l’opinione pubblica a una diversa definizione del successo, a una cessazione delle ostilità giustificata dalla considerazione che si è costretta la Russia a bruciare molte risorse nella guerra.

Zelensky, nel frattempo, è stato criticato per aver impedito a Poroshenko di recarsi in visita da Orbán, mentre nelle stesse ore se la prendeva con lui anche il sindaco di Kiev. La parabola politica del presidente ucraino ormai è ampiamente discendente?

A prescindere da come andrà a finire, Zelensky si è giocato il suo futuro politico con la controffensiva che è andata gambe all’aria. La vicenda di Poroshenko, e le critiche feroci del sindaco della capitale Klitschko, ma anche le dichiarazioni di Olena Zelenska, moglie del presidente, che non vuole prendere in considerazione la ricandidatura del marito, sono tutti i segnali o di una grande stanchezza o che è iniziata una fase in cui non sarà più Zelensky a condurre il gioco, ma qualcun altro. Chi si sta scaldando è Arestovich, che se ne esce con prese di posizione abbastanza nette: secondo me si sta preparando un cambio di prospettiva e un cambio al vertice in Ucraina.

(Paolo Rossetti)

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