Esercito russo che avanza, lento ma inesorabile, nel Donbass. Mariupol sempre sotto assedio. Missili sulla capitale Kiev durante la visita del segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres. Odessa sotto il tiro delle navi di Mosca. Putin che minaccia di usare armi mai viste. Erdogan che telefona a Putin per cercare di rilanciare un possibile negoziato.



Usa, Nato e Occidente – la Germania ultima in ordine di tempo a dire sì agli aiuti militari, mentre Biden chiede al Congresso Usa 33 miliardi per sostenere l’Ucraina – che inviano sempre più armi pesanti a Kiev.

Ma si tratta di “ferrivecchi”, come spiega Gianandrea Gaiani, direttore di AnalisiDifesa, secondo il quale è difficile prevedere cosa succederà sul terreno, perché “ogni guerra è fatta a modo suo. Penso tuttavia che entro 15 giorni potrebbe esserci una significativa vittoria russa nel Donbass, e non solo: a quel punto, se si verificasse un collasso delle forze ucraine, il negoziato per Kiev diventerebbe l’unica speranza”.



Nel Donbass l’esercito russo ha intensificato l’offensiva, ma sembra avanzare gradualmente e lentamente. I russi hanno deciso di prendersi tutto il tempo che serve?

Negli ultimi due giorni l’offensiva russa è diventata inesorabile e consistente. I russi avanzano lentamente, perché hanno di fronte un nemico ben trincerato e fortificato, visto che gli ucraini sono nel Donbass da otto anni. Muovendosi troppo velocemente, correrebbero il rischio di formare solo un cuneo d’avanzata.

Esponendosi a quale rischio?

Aprendo solo un piccolo fronte senza riuscire a demolire le difese nemiche in tutto il settore, l’esercito russo potrebbe ritrovarsi esposto e indifeso sui fianchi, con reparti che potrebbero essere tagliati fuori dall’avanzata, subendo così le sortite dei soldati ucraini, il che offrirebbe a Kiev la possibilità di sbandierare vittorie tattiche e dall’alto valore simbolico, da sfruttare anche in chiave propagandistica.



C’è però chi dice che a intralciare i piani dell’esercito russo ci sia ancora il “generale fango”. È così?

Molto meno, visto che ormai siamo a maggio e le condizioni del terreno sono migliori.

Biden ha dichiarato che gli Usa sono disposti a tutto pur di aiutare l’Ucraina e anche la Germania ha detto sì all’invio di aiuti militari. Saranno sufficienti gli sforzi di Usa, Nato e Occidente – dagli invii di armi e mezzi sempre più numerosi e pesanti all’appoggio logistico e alle sanzioni – a conquistare la vittoria sul campo di battaglia?

Premesso che Kiev è completamente nelle mani degli americani, con la fornitura di armi le aspettative dell’Occidente sull’Ucraina sono quelle espresse dal presidente Biden, dal segretario di Stato Usa, Antony Blinken, e dal capo del Pentagono, Lloyd Austin: l’obiettivo non è ricacciare i russi a Mosca, ma far sì che possano aumentare il più possibile le loro perdite militari per indebolire la Russia e impedirle un domani di avere la forza per aggredire altri Paesi.

Ma i mezzi pesanti che vengono e verranno inviati serviranno a raggiungere questo scopo?

Le forniture che daranno i Paesi europei, Germania compresa, riguardano mezzi militari vecchi, così come vecchi sono i mezzi di produzione sovietica già utilizzati dagli ucraini. E questo per Kiev è un doppio problema.

Perché?

I tedeschi daranno i vecchi carri armati Leopard 1 o i semoventi anti-aerei Gepard, realizzati 50 anni fa, radiati vent’anni fa e ora rimessi più o meno in sesto. Si tratta di mezzi che logisticamente, in fatto di calibro delle armi e di pezzi di ricambio, sono molto diversi da quelli di fabbricazione ex sovietica che gli ucraini sono abituati a usare e che in questi primi due mesi di guerra hanno perso in gran numero. E qui sorge il secondo problema.

Che sarebbe?

Il fatto che gli ucraini cerchino disperatamente armi di provenienza diversa, da un lato, spinge i paesi dell’Est Europa che dispongono ancora di mezzi militari ex sovietici a inviarli all’Ucraina e, dall’altro, spinge gli altri membri della Nato a fornire mezzi di origine occidentale, come gli M113: ferrivecchi che sono nei depositi ad arrugginire e che potranno tornare a essere operativi solo spendendo molti soldi.

Il risultato?

È molto probabile che si metteranno in campo molti mezzi, alcuni funzionanti, altri inutilizzabili ma che potrebbero fare da miniera per recuperare pezzi di ricambio. Una sorta di cannibalizzazione degli armamenti. Insomma, in questo modo l’Occidente svuota le discariche di quei mezzi vetusti che in Europa e in Italia costerebbe molto caro smaltire come rifiuti. E l’esercito ucraino avrà una dotazione militare, compresi i cannoni moderni, gli M177, inviati dagli americani, composta da una troppo variegata tipologia di armi e di mezzi, la cui manutenzione diventerà un incubo. Senza contare il problema dell’addestramento, che richiederà del tempo.

La Nato ha annunciato che è pronta ad accogliere Finlandia e Svezia a braccia aperte: una mossa per indebolire il fronte militare russo, alleggerendo la pressione sull’Ucraina e costringendo Mosca a redistribuire le sue truppe lungo confini molto più estesi?

Il confine fra Finlandia e Russia è lungo più di 1.300 chilometri, quindi è come inventarsi una nuova Cortina di ferro. Questo allargamento risponde alla richiesta di Finlandia e Svezia che, spaventate, chiedono di entrare nella Nato per poter avere l’ombrello nucleare americano. Il rovescio della medaglia, però, è che questo allargamento non fa che confermare le paure di Putin. Infine, c’è un aspetto militare che non può essere trascurato, perché dà l’idea di ciò che potrebbe succedere.

Di cosa si tratta?

San Pietroburgo, che sta a Mosca come New York a Washington, dista appena 150 chilometri dal confine finlandese. Domani in Finlandia potrebbero essere ospitati truppe americane, missili americani, basi della Nato. Per capire il rischio che si corre basta immaginare come reagirebbero la Casa Bianca e il Pentagono se venissero poste basi militari e testate missilistiche russe a 150 chilometri da New York…

Intanto, ai confini con la Moldova, potrebbe aprirsi il fronte della Transnistria. Mosca cerca un incidente con la Nato?

Non penso proprio: in Transnistria l’esercito russo ha due battaglioni, 1.500 soldati in tutto, cioè forze che possono fare da guarnigione e da presidio, non certo sufficienti a lanciare delle offensive.

Per quale motivo l’Ucraina potrebbe avere interesse a coinvolgere la Transnistria?

L’Ucraina, perdendo terreno nel Donbass e con la complicità della Moldova, che non è nella Nato, cercherebbe così di prendersi una rivincita, strappando, non senza combattere e al prezzo di spostare parte delle sue truppe da altri fronti, quel territorio ai russi. I quali, invece, dopo il Donbass potrebbero puntare su Odessa per creare un corridoio fra la Crimea e la Transnistria. Si può star certi, però, che se l’Ucraina attaccasse la Transnistria, il prossimo obiettivo di Putin sarà liberarla.

“Fulmineremo chi ci tocca”: Putin ha minacciato di essere pronto, in caso di grave difficoltà, a usare “armi mai viste”. Che cosa nasconde di così terribile il suo arsenale?

Si parla di missili da crociera a propulsione nucleare, che possono arrivare dappertutto senza problemi di autonomia, o di siluri pesanti a gittata intercontinentale che possono viaggiare ad alta velocità per centinaia di miglia… I russi hanno diverse armi sperimentali che hanno annunciato e mostrato e che potrebbero costituire una minaccia, ma restiamo pur sempre nell’ambito degli slogan. Anche perché se un giorno dovessero usarle per affondare una portaerei americana significherebbe che saremmo a meno di un passo dalla terza guerra mondiale.

Putin arriverà a lanciare armi atomiche tattiche?

Non credo, anche il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, lo ha escluso: far esplodere un ordigno atomico in Ucraina vuol dire far sì che le contaminazioni arrivino in Russia nel giro di un quarto d’ora…

Erdogan ha sentito di nuovo Putin per tentare di riannodare i fili di una mediazione. Non ha però l’impressione che la macchina della diplomazia abbia sempre le ruote sgonfie?

La macchina della diplomazia a guida turca andava molto bene, poi c’è stata la strage di Bucha – provocata, creata o strumentalizzata, questo resta da chiarire fino in fondo – che ha fermato tutto. A mio avviso, se oggi c’è un rilancio del negoziato, è perché gli ucraini cominciano a essere in seria difficoltà nel Donbass e su altri fronti.

(Marco Biscella)

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