Mark Rutte si è recato a sorpresa a Kiyv per assicurare il sostegno della Nato e ribadire che l’Ucraina dovrebbe ottenere un posto nell’Alleanza. Una promessa che sembra andare pericolosamente d’accordo con la vera strategia della dirigenza ucraina: creare tutte le condizioni possibili per un impegno diretto della Nato contro la Russia.



Nel frattempo i russi hanno preso Vuhledar, nel Donetsk. “L’iniziativa ucraina nel Kursk ha sacrificato inutilmente forze preziose che sarebbero state molto utili in Donbass”, spiega al Sussidiario Maurizio Boni, generale di Corpo d’armata e opinionista di Analisi Difesa. Per Boni la presa di Vuhledar è molto importante e svela l’obiettivo di Mosca: arrivare a Pokrovsk prima delle elezioni Usa e poi a Dnipro.



Generale Boni, Mark Rutte potrebbe impersonare un indirizzo strategico diverso da quello di Stoltenberg?

Non cambierà nulla: Rutte è al vertice della Nato perché gradito agli Stati Uniti. E non è un caso che la prima visita ufficiale sia avvenuta proprio a Kiev.

Dovremmo temere una proiezione più bellicista? 

Di sicuro c’è una linea di pensiero della guerra a oltranza, che trova riscontro nel voler colpire la Russia in profondità con le armi a lungo raggio. La nuova dottrina nucleare russa è una risposta a questa politica escalativa del blocco occidentale. C’è un fatto preoccupante che non è arrivato alle nostre opinioni pubbliche.



Quale sarebbe?

Secondo il canale ucraino RezidentUA, il 21 settembre scorso Andrij Yermak, capo staff di Zelensky, ha affermato che il compito principale dell’Ucraina è quello di coinvolgere direttamente la Nato nel confronto diretto con la Russia. Secondo Yermak questo atteggiamento garantirebbe al suo Paese di entrare nella Nato e di vincere la guerra. Sempre secondo Yermak, questo è l’unico scenario possibile, perché l’Ucraina non ha più risorse sufficienti per continuare il conflitto.

Un’ammissione esplicita che l’escalation è il vero obiettivo.

La dirigenza ucraina dice: poiché non possiamo più sostenere una guerra prolungata, dobbiamo trovare i modi di escalare il conflitto e di provocare il Cremlino. È una strategia che fa capo ai neocon di Washington, che non vogliono ammettere la sconfitta sul campo e fanno credere all’opinione pubblica che l’unica soluzione possibile per vincere la guerra sia quella di colpire il territorio russo.

Possiamo aspettarci cambiamenti?

Almeno fino alle elezioni presidenziali di novembre, l’Alleanza atlantica non cambierà linea. Finora il Pentagono è sempre stato scettico; è più la parte politica, ossia l’amministrazione Biden, a non rassegnarsi. Va detto che il “piano per la vittoria” presentato da Zelensky a Washington  non ha convinto i decisori americani.

È un buon indizio?

Con questo grado di scetticismo, difficilmente gli americani potrebbero dare il via libera all’escalation.

Non potrebbe essere il Regno Unito a supportare il piano ucraino?

Gli inglesi vorrebbero, ma non possono assumere iniziative di questa portata senza l’approvazione di Washington.

I nuovi commissari europei dell’area baltica, ossia Kaja Kallas (esteri), il riconfermato Valdis Dombrovskis (economia), e Andrius Kubilius (difesa), sono tutti “falchi” antirussi. Come potrebbero incidere negli eventi futuri?

È una configurazione preoccupante, e ci dice che l’Europa è parte essenziale del progetto della Nato sull’Ucraina. Borrell, che cederà il testimone alla Kallas, ha sempre sostenuto la necessità di colpire il territorio russo, sposando i concetti di Stoltenberg e di alcuni Paesi Nato ed europei come il Regno Unito, la Polonia e i baltici. Kubilius, lituano, prima di essere nominato commissario ha dichiarato a un’emittente lituana che l’UE non deve avere paura di inimicarsi la Russia, perché Putin è un vigliacco che non farà niente.

Sono dichiarazioni che definire imprudenti è un eufemismo.

È l’esasperazione del conflitto. Senza toccare, ora, un altro rilevante problema politico. L’Estonia, il Paese della Kallas, ha la metà della popolazione di Roma; la Lituania di Kubilius ha suppergiù la popolazione di Roma.

Nel Kursk l’offensiva ucraina sembra ferma, nel Donetsk i russi hanno preso Ugledar/Vuhledar. Cosa dice la guerra sul campo?

Nel Kursk la situazione è tornata sotto il controllo russo. Come era ampiamente prevedibile, l’iniziativa ucraina ha sacrificato inutilmente forze preziose che sarebbero molto utili in Donbass, dove stiamo assistendo al crollo sistematico del fronte e delle difese ucraine. Vuhledar era il terzo pilastro, insieme ad Avdiivka e Bakhmut, di una possibile difesa del Donbass. Dopo queste roccaforti le linee difensive sono debolissime, e le linee di rifornimento sono già sotto il fuoco russo.

Questo che cosa comporta?

Vuol dire che oramai il destino del fronte ucraino è segnato, anche perché Vuhledar è la cerniera tra il fronte in Donbass e il settore di Zaporizhzha a sud. Il raccordo delle forze russe impegnate da Zaporizhzha verso nord con quelle che operano dal Donbass in direzione ovest potrebbe configurare un accerchiamento di grandi proporzioni.

Perché i russi da qualche tempo bombardano con più intensità e frequenza l’Ucraina occidentale?

L’individuazione dei target ha due criteri: uno riguarda gli obiettivi al fronte, l’altro quelli in profondità. Colpire questi ultimi – installazioni militari, magazzini, depositi dove vengono fatti affluire i mezzi occidentali – significa danneggiare tutto ciò che sostiene lo sforzo bellico. Si calcola che il 74% delle infrastrutture energetiche sia fuori uso.

Quale potrebbe essere l’obiettivo territoriale di Mosca?

A mio avviso, arrivare a Pokrovsk prima delle elezioni Usa e poi a Dnipro. Pokrovsk è l’arteria principale del sostegno logistico delle forze ucraine in Donbass. Se i russi ci arrivano, e non sembra difficile, a quel punto si aprono ampi spazi per le forze corazzate e meccanizzate russe.

(Federico Ferraù)

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