Qualche mese fa, in un’intervista e poi in altre occasioni, Lucio Caracciolo, il direttore della rivista Limes, forse il più esperto tra gli analisti del grande gioco che sta delineando una nuova geopolitica, diceva con triste ironia: “Usa e Cina si contendono il mondo, l’Europa vive sulla luna”. Era la fine di settembre dello scorso anno, quando era stato da poco varato Aukus, l’accordo tra Stati Uniti, Australia e Regno Unito.



L’unico Paese europeo che si irritò e accusò pure gli Stati Uniti, quasi compromettendo i rapporti diplomatici, fu la Francia, che però vanta un seggio permanente nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, è una potenza atomica e ha un passato coloniale che in qualche modo le dà ancora influenza, diretta o indiretta, in Africa. 



Ma il resto dell’Europa, costruita sulla moneta unica e una ridda di paesi a storia diversa e senza una costituzione comune (sono rimasti in 27 dopo la Brexit) ha continuato a raccontarsi favole, pensando che i grandi schieramenti eredi della Guerra fredda non tornassero mai più e si potesse colloquiare e trattare allegramente con tutti, lasciando che la questione tra americani e cinesi si concentrasse nell’Indo-Pacifico. Vivevano appunto sulla luna, perché il nuovo disegno geopolitico mondiale è qualche cosa di più complesso e ormai veramente globalizzato.

E pensare che questa “leggerezza” europea avveniva mentre dal 2014 era in corso la crisi dell’Ucraina, quando Sebastopoli in Crimea (base navale storica sul Mar Nero dei russi da centinaia anni) aveva provocato un primo strappo e poi quando l’Ucraina si dimostrò sempre più propensa ad avvicinarsi all’Occidente, all’Europa, addirittura alla Nato.



Oggi la crisi dell’Ucraina segna una svolta talmente decisiva che alcuni vi intravedono la possibilità di una guerra e, di fatto, si realizza un riavvicinamento tra Russia e Cina che aveva addirittura interrotto Henry Kissinger tra il 1971 e il 1972.

Ci sono al momento centinaia di migliaia di uomini in Ucraina pronti a mobilitarsi contro i russi, che a loro volta continuano nelle loro manovre militari e hanno schierato alla frontiera dell’Ucraina oltre 150mila uomini e si indignano perché sono sbarcati 3mila soldati americani dislocati tra Germania, Polonia e Romania.

Qualcuno sostiene che la probabilità che scoppi una guerra è del 10 per cento, ma soprattutto in tanti temono un incidente che funzionerebbe da miccia per una esplosione mondiale. La pericolosità e l’incubo di una simile situazione ha spinto Vladimir Putin, leader russo anche lui in seria difficoltà, a spingersi fino a Pechino, per andare a fare un accordo a Pechino alla corte di Xi Jinping, dove si stabilisce che la Russia fornirà alla Cina 10 miliardi di metri cubi di gas e inoltre si definisce un accordo – che stabilisce “relazioni senza precedenti” – tra il postcomunista russo e il comunista-confuciano cinese, l’inventore del “socialismo di mercato”.

Mentre l’Europa discuteva, mentre Germania e Francia si dividevano sulla tassonomia (termine inventato dal medico svedese Linneo nel 700) green, i russi sull’orlo della disperazione forse, e i cinesi sul desiderio di potenza, creavano il vero asse della “nuova guerra fredda” contro, di fatto Aukus, trascurando e non curandosi di una sgangherata Europa che non solo non riesce a fare una difesa comune (non la farà mai, al pari della costituzione), ma neppure una politica estera comune per trattare seriamente.

Con la crisi economica aggravatasi dopo la pandemia, con la crisi energetica per il rialzo delle materie prime (il kerosene per gli aerei è cresciuto dell’80 per cento nelle due ultime settimane), l’Europa sembra interessata solo parzialmente alle conseguenze di questi fatti che sono collegati a questioni geopolitiche. 

La Francia si fida e difende con i denti le sue centrali nucleari, la Germania guarda ai suoi due gasdotti con i russi e tratta sottobanco, l’Italia telefona a Putin e poi pensa alle elezioni del presidente della Repubblica e, nel giro di sette anni, governo e Parlamento applaudono all’inquilino del Quirinale che lancia metaforiche sberle a tutti i rappresentanti delle istituzioni.

Abbiamo più volte scritto che l’Italia è specializzata nella falsificazione sistematica della sua storia, ma occorre dire che anche l’Europa non riesce mai a sfuggire dai problemi che hanno causato guerre e cataclismi nel suo “centro”.

Quando nel 2014 si affaccia la crisi dell’Ucraina era noto a qualsiasi persona di media cultura che quella terra è sempre stata considerata una sorta di “territorio africano” da tedeschi e russi, così come l’Africa del nord lo è stata per Francia e Italia.

L’interesse tedesco per l’Ucraina risale addirittura ai tempi di Otto von Bismarck a metà Ottocento e non fu dimenticata da Hitler nel suo Mein Kampf. La passione dei russi per l’Ucraina risale a Ivan il Terribile e più recentemente Nikita Kruscev non faceva che sottolineare non solo il legame strategico, ma storico e culturale tra Russia e Ucraina. Ed era stato Kruscev, nel 1954, a “regalare” la Crimea all’Ucraina.

Smemorati come sempre, gli europei ripetono le loro mosse , le loro trattative, sotto diverse forme.

Ma giustamente, come dice Caracciolo, vivono sulla luna e ognuno va per conto proprio.

Del resto l’Europa esce sconfitta dalla seconda guerra mondiale e diventa, in qualche modo, un satellite americano. Il problema realisticamente era costruire almeno tra i fondatori dell’Europa una politica e un difesa comune che dessero alcune garanzie agli americani, sia nell’Indo-Pacifico, sia nel Mediterraneo, sia in una crisi come quella dell’Ucraina che ha un nocciolo duro nella questione energetica.

Ma nel momento che si arriva agli schieramenti contrapposti ben delineati, siamo sicuri che gli americani daranno ancora una mano agli europei? È la domanda che si pongono tutti gli osservatori in questo momento, sperando innanzitutto che la guerra per la crisi ucraina non scoppi.

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