Nello spazio di 48 ore in Europa si sono registrate importanti dichiarazioni sulla guerra e la pace, che meritano una riflessione per le implicazioni che contengono. Le prime sono quelle del segretario alla Difesa Usa Lloyd Austin, al termine della sua visita a Kiev martedì scorso. “Vogliamo vedere la Russia indebolita al punto di non poter fare il tipo di cose che ha fatto con l’invasione dell’Ucraina”, ha detto il capo del Pentagono. Non è soltanto la promessa di nuove armi per sostenere lo sforzo antirusso.



Le altre parole annotate sul taccuino sono quelle di Sergio Mattarella pronunciate ieri a Strasburgo all’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa. In un discorso di ampio respiro, dopo aver richiamato Robert Schuman (“la pace non potrà essere salvaguardata se non con sforzi creativi, proporzionali ai pericoli che la minacciano”), il capo dello Stato ha detto che oggi serve “Helsinki e non Jalta: dialogo, non prove di forza tra grandi potenze che devono comprendere di essere sempre meno tali”. “Si tratta di affermare con forza” ha detto Mattarella “il rifiuto di una politica basata su sfere di influenza”, perché “la sicurezza, la pace non può essere affidata a rapporti bilaterali – Mosca versus Kyiv”.



Ne abbiamo discusso con Pasquale De Sena, presidente della Società italiana di diritto internazionale e ordinario nell’Università di Palermo. Le sue osservazioni sono tre.

Per De Sena la vera questione è se “la composizione di cui parla Mattarella potrà basarsi sulla salvaguardia rigorosa dei principi che costituiscono il fondamento dell’ordinamento giuridico internazionale così come noi lo conosciamo”. E la sua risposta è negativa. La seconda osservazione è che la dottrina formulata da Austin dell’azione preventiva è in contrasto con il diritto internazionale. Infine il giurista pone “il serio dubbio che la partecipazione italiana, sia pure tramite l’invio di armi, entri in conflitto con l’articolo 11 della Costituzione”.



Mattarella ha detto che l’esempio da seguire è Helsinki, non Yalta. È un auspicio che può dare luogo a una soluzione?

È necessaria una composizione complessiva delle questioni poste dagli eventi in atto e su questo Mattarella ha ragione. Il mio dubbio è un altro: la composizione di cui parla Mattarella potrà basarsi sulla salvaguardia rigorosa dei principi che costituiscono il fondamento dell’ordinamento giuridico internazionale così come noi lo conosciamo?

La sua risposta?

A me pare, purtroppo, che la situazione si sia troppo deteriorata, sfuggendo, per così dire, alla cornice nella quale sarebbe forse stato possibile collocarla. Si potrà trovare una soluzione, evitando di scendere a compromessi su qualche principio fondamentale dell’ordinamento? Detto in altri termini: si può davvero ipotizzare che Putin rinunci al Donbass e alla Crimea?

Dove passa il confine tra realismo, rinuncia o meglio concessione alla violazione del diritto?

Putin non solo ha esposto la Russia ad una crisi economica senza precedenti, ma le ha chiesto il sacrificio di migliaia di vite. Naturalmente a torto. Ma la strada per dire che ha avuto torto, qual è? Farlo cadere, a costo di un approfondimento del conflitto? Faccio osservare che la superiorità della Nato alla Russia nelle armi convenzionali non allontana, al contrario avvicina il rischio nucleare, che tutti vorremmo scongiurare.

A suo modo, Yalta fu un compromesso. 

Anche Yalta fu una composizione globale. Essa prendeva realisticamente atto dell’esistenza di più grandi potenze. Una composizione che ad Helsinki, nel ’75, cominciò ad essere superata, pur restando in piedi le due grandi potenze; ma che iniziò ad essere superata… proprio perché trent’anni prima c’era stata Yalta.

Che cosa significa?

Possiamo illuderci che Cina e Russia, e sottolineo purtroppo, non siano oggi grandi potenze? Io mi auguro, per primo, che l’Ucraina torni ai suoi confini originari; ma è realistico pretenderlo davanti a questa Russia, che ha già ha sopportato perdite e sacrifici di un certo peso, e che quindi difficilmente tornerà indietro?

Il segretario americano alla Difesa Lloyd Austin ha detto che la strategia occidentale di supporto all’Ucraina è finalizzata ad indebolire una volta per tutte la capacità militare della Russia. Come commenta?

Gli Usa affermano che l’azione in atto – tanto quella militare, quanto quella condotta per il tramite delle sanzioni, ma soprattutto la prima – è finalizzata non solo a difendere l’Ucraina, ma anche a prevenire altre possibili aggressioni da parte della Russia ad altri Stati. Ma così l’azione di legittima difesa tende a trasformarsi in azione preventiva, in contrasto col diritto internazionale.

Perché? 

Perché la prevenzione di aggressioni future attraverso l’uso e il contributo all’uso della forza armata non è consentita né dal diritto delle Nazioni Unite né dal diritto internazionale generale, che permettono, eccezionalmente, l’uso della forza solo in risposta ad attacchi armati già sferrati. Agire a titolo di protezione preventiva di altri Stati finisce per assomigliare parecchio – paradossalmente – proprio all’azione “preventiva”, invocata in modo insostenibile da Putin (insieme ad altri motivi), per giustificare la sua “operazione militare speciale”.

C’è un precedente?

Sì, la celebre dottrina del presidente americano G.W. Bush, in cui trovava ampio spazio proprio la “preemptive war”, come mezzo di reazione, da parte degli Stati Uniti, al terrorismo internazionale.

Perché l’azione militare preventiva occidentale sarebbe illegittima? 

Come le dicevo, malgrado questo precedente, né la Carta delle Nazioni Unite, né il diritto internazionale generale consentono oggi di usare la forza e di contribuire all’uso della forza a fini di prevenzione di attacchi armati, per di più a protezione di altri Stati. E il perché lo si capisce facilmente. La decisione su una simile azione sarebbe di fatto lasciata a singoli Stati: esattamente il contrario di quello che la Carta delle Nazioni Unite – e il diritto internazionale consuetudinario che vi si è conformato – hanno voluto.

È il tema dell’inefficacia del sistema delle Nazioni Unite.

Le Nazioni Unite sono state sempre piuttosto deboli nella gestione dell’uso della forza, anzitutto durante la guerra fredda, ma anche nel corso degli ultimi 30 anni. Basti  considerare che, neppure in questo periodo, il modello delineato dalla Carta – fondato sull’accentramento dei poteri in capo al Consiglio di sicurezza – ha mai veramente trovato attuazione, lasciando spazio alla pratica delle autorizzazioni all’uso della forza in favore degli Stati da parte dello stesso Consiglio di sicurezza. Come accennavo, se si procede a titolo di azione armata preventiva – contribuendo militarmente alla difesa dell’Ucraina, anche a fini preventivi di ulteriori aggressioni ad altri Stati – si è del tutto in contrasto con quel sistema.

Sta dicendo che la piega che le cose stanno prendendo delegittima completamente le Nazioni Unite?

Concorre a delegittimarle, perché sostenere azioni armate a fini di difesa preventiva significa che la decisione sull’uso della forza è nelle mani degli Stati – naturalmente degli Stati più potenti – in conflitto con la logica della gestione centralizzata (in capo al Consiglio di sicurezza), o perlomeno controllata (dal Consiglio stesso), dell’uso della forza, che è la logica propria delle Nazioni Unite.

Se l’intervento militare occidentale dovesse assumere e mantenere una piega simile vi sarebbero conseguenze giuridiche per la partecipazione italiana all’azione militare collettiva?

Se la risposta militare occidentale va distaccandosi dall’art. 51 della Carta delle Nazioni Unite e dal diritto internazionale generale, allora si pone il serio dubbio che la partecipazione italiana, sia pure tramite l’invio di armi, entri in conflitto con l’articolo 11 della Costituzione.

Per quale motivo?

Perché l’articolo 11 Cost. va interpretato in armonia con la Carta delle Nazioni Unite e con il diritto internazionale generale; l’uso della forza armata a fini di protezione preventiva di altri Stati – e il contributo a tale uso – non è conforme né alla Carta Onu, né al diritto internazionale generale. Se lo lasci dire da uno che ha sostenuto che l’invio di armi, all’inizio di questa vicenda – per quanto discutibile sul piano politico – non è contrario alla Costituzione, proprio in ragione della conformità alla Carta Onu e al diritto internazionale generale dell’azione di legittima difesa collettiva, intrapresa su richiesta dell’Ucraina.

Allora dove sta la differenza?

Sta nel fatto che, se l’invio di armi finisce per rientrare in un intervento collettivo che assume le sembianze di un’azione armata preventiva, ne viene meno la conformità alla Carta Onu e al diritto internazionale, e, dunque, all’art. 11 della Costituzione.

Il portavoce del ministro degli Esteri cinese Wang Wenbin ha detto che la Cina non vuole una terza guerra mondiale e spera in una composizione del conflitto tra Russia e Ucraina per via diplomatica. Come giudica queste dichiarazioni?

Sono un segnale positivo, più della visita di Guterres martedì a Mosca e ieri a Kiev. Una  soluzione negoziale del conflitto può passare solamente per un avallo delle trattative da parte delle due maggiori potenze, vale a dire Stati Uniti e Cina. È vero che la Cina è una potenza autoritaria e non democratica, ma mi pare sia l’unico attore globale chiaramente orientato a favorire una soluzione di questo genere. Insomma, Guterres è andato a Mosca in rappresentanza di un Consiglio di sicurezza profondamente diviso al suo interno. Ciò che toglie ogni autorevolezza al suo tentativo.

Da dove passa la soluzione?

Io continuo a pensare che passi da un approccio negoziale serio e realistico, capace di operare un recupero di immaginazione giuridico-politica, all’altezza del presente. Lo stesso Zelensky lo aveva intuito, quando la delegazione di Kiev, il 29 marzo scorso, affermava di voler “congelare” la questione della Crimea per i prossimi 15 anni. A mio modo di vedere, è stato il momento in cui si è andati più vicini a uno sblocco della situazione.

E invece?

Sulla scorta della ritirata russa dall’Ucraina centro-occidentale, si è preferito non percorrere questa strada, nella prospettiva di far sconfiggere sul terreno l’esercito russo, costringendolo a ritirarsi pure dal Donbass. Allo stesso tempo, del tutto coerentemente, si è preferito battere sui terribili fatti di Bucha.

Che cosa intende dire?

Si pensi alle dichiarazioni di Biden sulla natura genocidaria dei crimini contestati alle truppe russe. Cosa che nell’immediato non sarebbe stata opportuna, qualora si fosse ricercata una soluzione negoziale.

Il ministro britannico della Difesa Wallace ha detto che Putin deve essere sconfitto in Ucraina, che l’Ucraina va sostenuta per questo, e che è l’Ucraina a decidere quando vuole accettare la pace.

Mah. Mi pare una professione di irrealismo politico, se non un calcolo cinico, molto cinico.

(Federico Ferraù)

— — — —

Abbiamo bisogno del tuo contributo per continuare a fornirti una informazione di qualità e indipendente.

SOSTIENICI. DONA ORA CLICCANDO QUI