State tranquilli, ucraini, presto, magari non proprio subito, arriveranno i carri armati! I carri armati? Ma non erano un tipo di armamento ormai superato, facile bersaglio dei nuovi sistemi di puntamento, buoni ormai solo, in versione mignon, per animare lunghe serate di Risiko?

Invece pare di no. Questi serviranno per vincere, o forse, più probabilmente per pareggiare, per fronteggiare la probabile nuova offensiva dei russi a primavera.



Intanto si continua a morire, a soffrire, a domandarci se nel 2023 non è proprio possibile trovare una soluzione al conflitto. Ed emerge sempre di più l’idea che il popolo, tanto popolo, anche a pagamento, oltre alle armi, serve per vincere la guerra.

E sorge una domanda che nasce dall’esperienza di liberazione che l’Est Europa visse in occasione della caduta del Muro di Berlino e degli altri muretti collegati. Mi viene in mente la “Rivoluzione di velluto” della Cecoslovacchia, quella del Potere senza potere di Havel, quella della Insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera, quella della Piazza Vecchia di Bratislava, dove ero presente festeggiando la liberazione, semplicemente prendendo in giro i vecchi capi comunisti.



Lì, come in Polonia e da altre parti, non c’era stata nessuna guerra, nessuna vittima se non in seguito a qualche esagerato festeggiamento a base di “piva” (birra).

Lì c’è stato un popolo che aveva lottato pacificamente, senza ricevere armi dall’Occidente. Certo avevano sofferto una durissima occupazione durata più di vent’anni, ma alla fine avevano vinto.

Non andò proprio così invece in Unione Sovietica, Russia e Ucraina comprese. Lì ci fu un colpo di Stato alla Duma, sventato da un contro-colpo di Stato fuori dalla Duma, mentre la stragrande maggioranza dei cittadini dell’Unione Sovietica, a cominciare dai moscoviti, si trovarono liberi senza saperlo, e in molti casi, senza neanche volerlo.



Certo anche lì c’erano stati molti coraggiosi dissidenti, riformatori, innovatori, ma senza un grande rapporto col popolo.

Ricordo che quando insegnavo lingue all’Istituto di Diplomazia del Kazakhstan, una volta che Mikhail Gorbaciov era venuto a tenere una conferenza, gli rivolsi, attraverso un mio studente, questa domanda: “Come mai lei che aveva un grande progetto politico non è riuscito a realizzarlo e Walesa, che non aveva nessun grande progetto politico, è riuscito a vincere?”

Con un sorriso intelligentemente amaro Gorbaciov rispose: “Certo io avevo un grande progetto politico, ma non ho avuto con me il popolo; Walesa non aveva nessun grande progetto politico, ma aveva con sé il popolo”.

Il popolo, quello stesso che quando Dubcek consegnò nelle caserme l’esercito “per evitare uno spargimento di sangue”, circondò i carri armati sovietici gridando a quei soldatini, convinti della propaganda di essere venuti lì a sventare un colpo di Stato fascista, che i fascisti erano loro.

Ebbi la fortuna di sentire il racconto dei fatti dal nonno di una mia studentessa kazaka che quel giorno era su uno di quei carri armati e che da quel giorno cominciò a pensare che anche su tante altre cose l’avevano ingannato.

Non so se in questa guerra ci sarà un vincitore sul piano militare. Di queste cose non m’intendo.

So che in una Russia, dove non c’è stata nessuna rivoluzione democratica, dove i grandi riformatori più volte osannati in Occidente sono stati Eltsin e il suo delfino Putin, la gran parte del popolo è ancora in marcia verso una nuova Praga su nuovi carri armati.

Speriamo che dall’altra parte non trovi solo carri armati, ma un popolo capace di contagiarli col virus dell’amore per la vera libertà.

Si riuscirà a contagiare almeno quelle centinaia di migliaia di giovani russi che sono fuggiti dalla Patria, più che altro per non fare il servizio militare?

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