Sembra opportuno un chiarimento tecnico-geopolitico in materia di “mediazione” vista la molteplicità di soggetti statuali che si candidano a farla in relazione al conflitto in Ucraina. Appare anche utile chiarire i limiti della pur benemerita attività di mediazione tra parti in conflitto da parte di organizzazioni non-statuali (Track 2 Diplomacy).
La mediazione in caso di conflitti tra grandi potenze è un’illusione. Caso mai può sortire soluzioni umanitarie limitate, cioè favorire casi di “cooperazione intrabellica” per operazioni selettive, come il rilascio delle navi granaie nel Mar Nero mediato dalla Turchia o il rilascio reciproco di prigionieri, mediato dal Vaticano e altri. Ma niente di più. Quindi, si lasci stare questa illusione. Il messaggio è indirizzato a Parigi che tentò nel 2022 una ridicola autolimitazione della Russia e al Brasile che ha annunciato una mediazione tra Russia e Ucraina come intenzione. Nel primo caso è evidente il tentativo di Parigi di porsi come conduttore dell’Ue e di limitarne la dipendenza dalla Nato, il cui avverarsi ha spazzato l’idea di un’autonomia strategica europea. Il secondo caso è meno chiaro, ma comunque inefficace.
Cos’è efficace? La deterrenza militare primaria corroborata da eventuali sanzioni secondarie per chi aiuta la parte avversaria nella guerra. Nel caso: armare l’Ucraina dandole superiorità e minacciare la Cina di sanzioni se aiuta Mosca. Questo è il modello praticato dalla Nato e dal G7 con un autolimite: impedire all’Ucraina di attaccare la Russia interna. A ciò va aggiunto che è interesse dell’alleanza delle democrazie che la Cina metta la museruola all’alleato russo. Ma non dandole lo status di mediatore come richiesto da Pechino perché il conflitto globale vero è in corso tra “Greater China” e G7 e il secondo non ha interesse a dare alla Cina un vantaggio, ma costringendo la Cina stessa a calmare il (ormai) proprio satellite per paura di sanzioni secondarie. Per inciso, il recente G7 di Hiroshima, pur più morbido in materia di commerci, ha varato una serie di restrizioni impressionanti anticinesi. È la logica della guerra: superiorità e dissuasione.
E il pacifismo? Quello generico è evidentemente è un soccorso di fatto alla parte perdente. La volontà di pace istruita, invece, va organizzata come pressione sul proprio governo di riferimento per limitare il più possibile la violenza senza per altro rischiare la sconfitta. Tuttavia, c’è un pacifismo attivo il cui concetto non è ancora diffuso: aiutare la mobilitazione per rovesciare i regimi autoritari a favore della democratizzazione perché le democrazie – o tendenti alla – non sono propense a fare guerre offensive pur reagendo con difesa se aggredite. Secondo chi scrive, un pacifista serio e istruito dovrebbe aiutare la resistenza democratica in Russia, Bielorussia, Cina comunista e altrove.
Passando al tema delle mediazioni da parte di organizzazioni non governative va detto che queste possono solo raggiungere obiettivi umanitari entro guerre tra grandi potenze, ma possono giocare un ruolo primario nei conflitti tra piccoli Stati o entro questi. Chi scrive ha svolto nel passato attività di “Track 2 Diplomacy” presso Globis, University of Georgia, in qualità di vicedirettore che assisteva il direttore (Prof. Han Park) nei tentativi di dialogo tra Corea del Nord e del Sud: furono raggiunti risultati umanitari. Ma in altre parti del mondo povero ed emergente, fatto di piccoli Stati, in qualche caso i risultati aiutarono accordi politici tra le parti. Ma non dove grandi Stati esercitavano pressioni conflittuali.
In conclusione, la mediazione ha uno suo spazio tecnico di rilievo, ma quello del realismo basato sui rapporti di forza è maggiore.
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