Gli accorati appelli per la pace in Ucraina sembrano essere drammaticamente inascoltati. Non credo proprio, come pensa qualcuno, che Papa Francesco stia recitando una parte. Qualche volta, forse, non è ben consigliato; chi gli ha suggerito di parlare dei buriati e dei ceceni? Forse, diplomaticamente, non era il caso. Chi conosce bene il mondo dell’ex Unione Sovietica sa bene che ci sono tipi un po’ suscettibili che per nazionalismo etnico finiscono per intralciare i piani di pace.
Comunque, questi sono purtroppo particolari, drammaticamente dei particolari.
Fa specie invece che si parli poco, o quasi nulla, di una questione fondamentale che mi sembra oggi stia bloccando qualunque trattativa di pace. È la questione del come sarà, dopo, la situazione dei rapporti interni all’Ucraina, qualsiasi accordo si trovi sui futuri assetti territoriali.
In moltissime città di quelle che sono state invase dalle truppe delle Federazione Russa, a cominciare da Donetsk e Lugansk, si sono aperte delle terribili divisioni anche tra persone che prima erano amiche, o comunque si tolleravano. Anche tra le persone di una stessa famiglia. Ora ci sono drammatiche divisioni tra chi, più o meno volontariamente, ha collaborato con i russi e chi si è opposto. Divisioni anche tra chi è andato a combattere, e a volte a morire, e chi ha cercato di nascondersi in “Occidente”, magari protetto dalla nostra generosa accoglienza. Vuoi vedere che non tutti gli oligarchi (ce ne sono anche di ucraini) si sono buttati a partecipare alla coraggiosa difesa della patria? Per carità siamo tutti uomini, spesso deboli e fragili, e personalmente non mi sento in diritto di giudicare io, sono stato coinvolto nella guerra. Piuttosto non posso non pensare quando dopo, dopo la pace, si dovranno fare i conti. E non solo quelli economici, riguardanti l’immenso compito della ricostruzione con la nuova questione degli inevitabili opportunismi.
Mi viene in mente quando mio nonno e i miei genitori, più mio nonno che i miei genitori, mi parlavano spesso del dopoguerra e del clima di antagonismo tra fascisti e antifascisti, con in mezzo una massa di italiani che in verità non erano stati né gli uni né gli altri, ma che rischiavano, o volevano, essere considerati tali.
Ricordo quando un giorno, dopo aver compiuto dieci anni, mia madre mi prese da parte e mi fece vedere le foto del vilipendio fatto sul cadavere del Duce e dei suoi a Piazzale Loreto. Mi disse che lei ed altri avevano partecipato alla Resistenza, ma non per compiere quello scempio e che con lei erano d’accordo tanti partigiani. D’ altra parte mi spiegò che non a caso i cadaveri erano stati portati in Piazzale Loreto, perché lì l’anno prima erano stati fucilati molti partigiani. Mi disse anche che quella gente eccitata contro il Duce probabilmente aveva subito molte sofferenze a causa dei fascisti, ma che questo era una spiegazione, non una giustificazione di quell’oltraggio. A dieci anni certe cose ti colpiscono e te le ricordi per tutta la vita.
E così non puoi non pensare a quel giorno in cui a Kherson o a Kharkiv, o nel Donbass, ci sarà la pace o almeno qualcosa che le assomiglia. Allora si troveranno ancora vicini quelli che sono stati per gli uni o per gli altri dei contendenti. È lo stesso del resto che è successo nelle zone liberate dall’Isis.
Detto questo, penso che nelle proposte di pace si debba prevedere, oltre che l’impiego di forze internazionali militari di controllo, anche forze di riconciliazione. Gente che non ha paura di essere giudicata filorussa o filoucraina perché non solo non è né russa né ucraina, ma è qualcuno per cui non è importante se sei russo o ucraino, “giudeo o greco, libero o schiavo, uomo o donna”.
Scusate ma una frase più o meno così mi pare di averla già sentita.
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