Per capire cosa succede e avverrà nella crisi Ucraina bisogna partire da quello che scrisse Kissinger alla fine della Guerra fredda. Che era necessario un nuovo ordine mondiale condiviso da tutte le maggiori potenze, dove per ordine mondiale si intende un set di norme di diritto internazionale, di rapporti di forza, ma sopratutto di principi condivisi impliciti ed espliciti. Che l’ordine internazionale deve riguardare una porzione abbastanza grande di mondo da essere determinante per l’intero pianeta; essere in sintonia quindi anche con i sottosistemi regionali. Due componenti quindi sono fondamentali. Un insieme di regole accettate che definisca azioni e comportamenti leciti ed illeciti, e un equilibrio di potere che ristabilisca l’ordine quando le regole sono violate, che insomma ristabilisca l’ordine perduto.



Dalla fine della Guerra fredda sono passati quasi trent’anni, nel frattempo siamo passati da un unipolarismo americano a un quasi bipolarismo Usa-Cina con un disordine regionale nel Medio Oriente spaventoso, crisi che arriva fino alla Libia, con un Iran alla soglia del nucleare; la Cina che sta scalando ad un ritmo impressionante le posizioni nella classifica mondiale, scatenando tensioni continue nel mondo dal Pacifico all’Africa.



Il fatto è che l’ordine internazionale attuale funziona per forza di cose, per tradizione e concatenamento economico, per spezzoni sparsi, elementi e ordini parziali, con regole e principi diversi a seconda delle interpretazioni, degli attori e delle aeree geografiche, senza nessun vero ordine, in modo – si perdoni il bisticcio – disordinato.

Le ragioni dell’attuale caos sono appunto molteplici, ma fondamentalmente risiedono nel fatto che gli Stati Uniti non sono più in grado di svolgere un ruolo egemonico assoluto, che vi è una super potenza sfidante, che i sistemi regionali non tengono più. Ma che nessuna potenza ha pronta la soluzione per la costruzione di un nuovo ordine mondiale.



Ecco che l’azione aggressiva di Putin si colloca in questo contesto. Il presidente russo vuole riprendersi – a tempo scaduto si potrebbe dire – lo spazio ed il ruolo che aveva la vecchia Unione Sovietica. Forte delle armi nucleari, della sua posizione nel Consiglio di sicurezza dell’Onu, della ricchezza del suo sottosuolo, a partire dalle riserve di gas; forte della sua geografia che gli fornisce una profondità strategica incredibile, potendo contare su una identità nazionale e popolare che i paesi occidentali si sognano, può fare la voce grossa contro l’Ucraina.

Gli obiettivi di Putin sono chiari. Tenere lontano la Nato dai confini occidentali e riprendersi un ruolo per lo meno di potenza euroasiatica dopo aver perso tutti i paesi del Patto di Varsavia e gli stati baltici.

Dopo aver schierato ai confini ucraini circa 100mila uomini, Putin, che ha l’iniziativa politica, non può perdere la faccia e ha a disposizione per lo meno tre mosse. Un’invasione in grande stile dell’ex stato sovietico, un’azione limitata alla regione del Donbass, un cambio di regime a Kiev. Sul tavolo, sul piano generale, Mosca può mettere anche i successi nel Mediterraneo dalla Siria alla Libia. E in più può giocare la carta dell’alleanza sempre più forte con la Cina.

Ma non può nemmeno tirare troppo la corda, perché un atto troppo forte significherebbe la rottura con l’occidente, durissime sanzioni economiche, e la crisi delle relazioni politiche. Un’entrata con carri armati e bandiere con l’aquila bicipite in Ucraina significherebbe infatti rafforzare la presenza Nato e americana ai suoi confini, spaventando oltre modo anche Finlandia e Svezia, per ora paesi neutrali.

Anche Biden, e la Nato, si trovano in una difficile scelta. Da una parte non possono formalmente accettare la richiesta di Putin, ogni paese infatti ha diritto di aderire a qualsiasi alleanza politico-militare, d’altronde l’Ucraina non fa parte della Nato. Non possono nemmeno dimostrarsi deboli subendo una minaccia, perché nessuna potenza può permettersi il lusso di perdere credibilità, che vorrebbe dire disarmare la sua forza di dissuasione. Atto che renderebbe il mondo ancora più instabile perché equivarrebbe a dare il semaforo verde per altre prove di forza a sue spese, dall’Iran alla Corea del Nord, alla Cina. D’altronde una posizione debole da parte americana segnerebbe anche una frattura con alleati fedelissimi quali i paesi dell’ex patto di Varsavia ed ex sovietici.

Neppure Biden può essere troppo duro, perché sanzioni economiche preventive non sono possibili dato la sudditanza energetica europea a partire dalla Germania e dall’Italia. Sopratutto perché ancora non è chiaro cosa Putin abbia in testa veramente.

Rimane un sottile spazio di trattativa che permetterebbe di salvare la faccia a tutti i protagonisti della crisi, ripartendo da quegli accordi di Minsk che adesso anche Zelensky potrebbe riprendere, vista la sua attuale posizione dialogante e i nuovi sforzi della diplomazia internazionale. Forse è sufficiente una soluzione condivisa per il Donbass e un congelamento dell’allargamento ad est della Nato.

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