Un vertice, quello tenutosi a Leopoli tra Zelensky, Erdogan e il segretario dell’Onu Guterres, con molte carte sul tavolo e anche una possibile svolta che sarebbe clamorosa se confermata. Sostanzialmente il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha chiesto al segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, che l’Onu garantisca la sicurezza della centrale nucleare di Zaporizhzhia, cosa che Mosca aveva detto ancor prima del vertice di ritenere inaccettabile.



Importante invece la firma di un accordo per la ricostruzione di infrastrutture distrutte durante la guerra firmato da Ankara e Kiev, ma la cosa, che deve essere tutta confermata, è che la Russia, secondo Erdogan, sarebbe disponibile a lavorare a un incontro tra il presidente russo Vladimir Putin e quello ucraino Volodymyr Zelensky per un possibile accordo di pace, cosa che fino a oggi Mosca aveva sempre detto essere improponibile.



Tutto questo mentre uno studio a cura del Kiel Institute for the World Economy denuncia il fatto che a luglio, per la prima volta dal 24 febbraio, i sei maggiori Paesi europei non hanno fornito alcun aiuto militare all’Ucraina. Uno scenario come sempre in continua evoluzione di cui abbiamo parlato con il generale Giorgio Battistigià comandante del corpo d’armata di Reazione rapida della Nato in Italia e capo di stato maggiore della missione Isaf in Afghanistan.

Secondo uno studio del Kiel Institute for the World Economy, per la prima volta dall’inizio della guerra i sei maggiori Paesi europei fra cui anche l’Italia, nel mese di luglio non avrebbero fornito alcun aiuto militare all’Ucraina. Come giudica questa cosa?



In effetti ci sarebbe un rallentamento nelle forniture di equipaggiamenti militari, ma questa cosa va vista sotto due punti di vista. Il primo è che le richieste di Kiev sono molto elevate ed è difficile stare loro dietro. Il secondo è che queste richieste incontrano la difficoltà dei Paesi europei perché i loro stati maggiori militari sono obbligati a fare una rivalutazione del loro impegno.

In che senso?

La richiesta di artiglieria, missili, carri armati sta sollevando dubbi, perché potrebbe incidere sulle capacità militari dei rispettivi Stati. Nonostante sia una ipotesi molto distante e che tutti speriamo non accada mai, bisogna comunque tener conto del fatto che la guerra potrebbe estendersi in Europa, dando luogo ad un conflitto molto più ampio che coinvolge i Paesi occidentali. Di conseguenza ogni Paese non vuole correre il rischio di trovarsi senza mezzi militari a disposizione. È un rallentamento che va valutato, però  proprio in questi giorni gli Stati Uniti hanno stanziato un altro miliardo e mezzo di dollari.

Lo studio di Kiel si riferisce però solo all’Europa, a Paesi come il Regno Unito, che erano sempre stati i più disponibili a fornire armi.

È vero, ma quello che sfugge a chi fa queste valutazioni è che gli eserciti europei negli ultimi vent’anni hanno subito drastiche riduzioni per volontà politica dei rispettivi governi. In Italia, per fare un esempio, per quanto riguarda i carri armati pur avendone diverse centinaia a disposizione, solo un numero ridotto è attualmente operativo. Gli impegni militari in questi ultimi vent’anni si limitavano a operazioni di counterinsurgency (contro-insurrezione) in Paesi come Afghanistan e Iraq per le quali non erano necessari grandi equipaggiamenti. Adesso che il rischio di una guerra mondiale è concreto, bisogna fare bene i conti. Non si tratta di mancanza di volontà nel sostenere Kiev. E infatti il decreto del nostro Consiglio dei ministri del 26 luglio parla di concedere quello che si può dare.

Al vertice di Leopoli Erdogan ha detto che Mosca sarebbe finalmente disponibile a un incontro di pace. Le sembra credibile?

Se andiamo indietro di qualche giorno soltanto, da entrambe le parti si era affermato che le condizioni per un incontro diretto non c’erano. Bisogna vedere se Erdogan ha voluto fare un passo in avanti per confermarsi attore internazionale che riesce a dirimere le varie situazioni legate al conflitto, pensiamo all’accordo sul grano. Indubbiamente da tutte e due le parti i vari analisti registrano una certa stanchezza delle operazioni. Questo eventuale incontro potrebbe servire per riorganizzarsi e per riprendere poi con maggiore forza le ostilità.

I bombardamenti russi vanno comunque avanti con sempre maggiore intensità: il capo di stato maggiore ucraino parla di 700, 800 bombardamenti al giorno.

Bombardamenti di varia tipologia. La Russia ha sempre privilegiato come massa di supporto l’artiglieria e il lancio di missili. Nei conflitti recenti abbiamo visto come da una parte si spara e dall’altra si cerca di dialogare, quindi è possibile che si siedano a un tavolo per parlare. Personalmente al momento ritengo non ci sia la volontà di farlo.

In Crimea abbiamo visto degli attacchi contro basi russe che l’Ucraina non rivendica, ma che Zelensky fra le righe ha in qualche modo fatto capire siano opera di Kiev. Lei che idea si è fatto?

Le informazioni che noi abbiamo sono sempre prevalentemente ucraine e bisogna prenderle con il beneficio dell’inventario. Indubbiamente l’attacco a questi due aeroporti e quello a un deposito di munizioni richiedono una organizzazione operativa che non si può improvvisare. Ritengo ci sia stata una operazione in profondità delle forze speciali ucraine o dei partigiani locali, indirizzati con sistemi di “illuminazione” che a loro volta hanno dato le coordinate per far intervenire missili che hanno colpito. Alcuni analisti dicono, ed è probabile, ci siano forze speciali ucraine all’interno delle linee russe. Ucraini e russi sono simili anche come lingua e aspetto, è difficile distinguere tra uno e l’altro.

Non siamo in Vietnam o in Afghanistan, vuole dire?

Esatto. È facile ci siano truppe sul posto che individuano gli obiettivi e forniscono le coordinate. C’è chi parla di missili marittimi adattati al lancio terrestre oppure dell’uso di razzi Himars che possono arrivare fino a 300 chilometri, anche se gli americani avevano promesso di non fornire missili a lunga gittata per paura che potessero essere lanciati in territorio russo.

Ovviamente noi non sappiamo se lo hanno fatto veramente.

Gli ucraini dal punto di vista formale non possono dire di essere stati loro, perché i russi hanno detto sempre che non avrebbero tollerato attacchi sul suolo russo, considerando la Crimea parte integrante del loro Paese. I bombardamenti delle ultime ore su Karkhov sono una reazione per proteggere le proprie retrovie e di ieri è poi la notizia che il comandante della flotta del Mar Nero è stato sostituito.

Ha parlato dell’accordo sul grano: è davvero quella svolta che si è detto che sia?

È da vedere. Fino a oggi sono molto poche le navi che si sono mosse. Sembrerebbe che la prima nave salutata con tanto tripudio sia poi arrivata in Siria, Paese alleato russo. Bisogna vedere le altre dove andranno a finire. È sicuramente un buon inizio, però ci sono ancora decine di navi che aspettano nei porti.

(Paolo Vites)

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