Mosca aumenta gli attacchi per far capire agli ucraini quali sono le sue potenzialità e scoraggiare le loro velleità di rivincita. Dal 2022 si è costruita un’economia di guerra, fondata sulla vendita di gas e petrolio e sulla riconversione dell’industria nel settore bellico, che le permette di sostenere i suoi sforzi. Kiev, d’altra parte, è sempre più in difficoltà, ma soprattutto i suoi partner, Usa e Ue, non sanno cosa fare: si limitano a grandi proclami ma non inviano aiuti e non hanno una vera strategia.
L’unica possibilità per uscirne, spiega Fabio Mini, generale già capo di stato maggiore della Nato per il Sud Europa e comandante delle operazioni di pace Nato in Kosovo, sarebbe che le grandi potenze si mettessero intorno a un tavolo e cominciassero a immaginare un futuro senza armi: Russia e Ucraina da sole difficilmente troveranno un accordo di pace. In questo quadro emerge anche la debolezza della Nato, che annuncia esercitazioni militari durante il 2024: un modo per mostrarsi attiva, ma che nasconde l’incapacità di trovare una soluzione al conflitto. Solo la Gran Bretagna ha le idee chiare, vuole ritagliarsi un ruolo sempre più importante e diventare punto di riferimento dell’Alleanza atlantica nel Nord Europa, bloccando ai russi l’accesso al Mar Baltico.
L’intelligence britannica parla di un aumento del 27% degli attacchi russi e di una crescita anche di bombardamenti. Quale strategia sta mettendo in atto Mosca? Ha capito che l’Ucraina è in difficoltà e vuole sfruttare l’occasione?
Dal punto di vista tecnico-militare è un’operazione di deterrenza, un’affermazione di forza e di volontà per indebolire la convinzione dell’avversario, in questo caso gli ucraini, di potercela fare. Un’operazione di interdizione per fiaccare la fiducia nelle possibilità di vittoria fidando nell’aiuto internazionale. Zelensky, infatti, è tornato a dire: “Dateci una mano che vinciamo”. Mosca si propone di smontare questa retorica della vittoria.
Sono sempre intensi anche i bombardamenti sulle città; si vuole fiaccare anche la resistenza della popolazione civile?
Gli obiettivi non sono civili; vengono prese di mira strutture e infrastrutture che hanno sede nei centri abitati. La Russia ha una capacità di distruzione delle città che è enorme, ma probabilmente non ha la volontà di radere tutto al suolo. Mi hanno sorpreso le parole del premier slovacco secondo il quale Kiev non c’entra con la guerra, perché lì tutto sembra procedere normalmente: si va al lavoro, si frequentano i bar. Se una capitale come quella ucraina può permettersi di lasciar girare la gente, di vedere i propri leader politici in televisione, in giro per il mondo, vuol dire che i russi non vogliono alterare questo tipo di situazione.
Come riesce Mosca a sostenere i suoi piani militari?
Io avevo previsto che i russi sarebbero passati dall’operazione speciale all’ammissione di essere in guerra, cosa che ancora non hanno fatto. Mosca, almeno sul piano della comunicazione internazionale, non sta affrontando la situazione come se fosse un conflitto. Ma ha messo in atto un’economia di guerra, riconvertendo l’industria al settore bellico. La Russia è consapevole di avere un patrimonio di capacità industriali vecchio ma efficiente. Questo ha portato lavoro: la gente adesso ha uno stipendio, mentre prima aveva un’indennità di disoccupazione. E le risorse finanziarie continuano ad alimentare lo sforzo del governo.
Uno dei canali per reperire le risorse finanziarie sono le miniere che i russi controllano in Africa, in particolare sfruttano l’oro che proviene da Sudan, Centrafrica e Mali. È qui che attingono la forza per alimentare la guerra?
L’oro per la Russia è stato uno dei capisaldi per l’inizio dell’avventura bellica. Aveva riserve auree enormi che ha speso. L’oro per il quale ha concessioni in Africa, ottenute tenendo in piedi regimi discutibili, è soltanto l’assicurazione per il futuro. I russi fanno come i cinesi. Nei Paesi africani eseguono lavori strutturali enormi, cosa che la Banca mondiale non si sogna nemmeno di finanziare. Lo sfruttamento dell’oro, comunque, avverrà quando la situazione si sarà calmata, approfittando del fatto che la circolazione di queste risorse oggi avviene senza che si sposti neanche un grammo: tutto sulla carta.
Qual è allora la vera fonte di finanziamento del conflitto per i russi?
Innanzitutto le esportazioni di gas e petrolio. Nonostante l’embargo, la Russia ora è la nazione che esporta più energia. E infatti il costo di petrolio e gas diminuisce. Siamo noi europei che non ci rendiamo conto di quello che sta succedendo, perché siamo vincolati alle importazioni americane e correlate con gli Usa. Ma esiste un mercato parallelo, di risorse anche russe, con cui Mosca si alimenta.
Si sostiene anche con altro?
Una fonte di speculazione finanziaria che ha la Russia è quella sul futuro. Così come l’abbiamo noi occidentali. Europa e Usa vedono nella ricostruzione dell’Ucraina una grande occasione di ripresa, la stessa cosa fa la Russia scommettendo su quella del Donbass e della Crimea. Ci sono Paesi, banche e speculatori finanziari che sono interessati a questo. Già ora ci sono soldi che si stanno spostando per la promessa di assegnazione dei contratti per il futuro.
In Occidente si torna a parlare di F16 da fornire a Kiev, il segretario del Tesoro Usa Janet Yellen promette che verranno sbloccati altri fondi per gli ucraini, la Ue ribadisce il sostegno. La realtà, invece, è quella di un fronte occidentale che non sa cosa fare?
Gli Usa hanno speso 151 miliardi di dollari per l’Ucraina ma il 90% è rimasto in America, sono andati alle industrie militari o a chi ha ceduto armi o altri tipi di aiuti: lo dicono anche membri del Congresso. L’investimento attivo per l’Ucraina è di consumo: vengono forniti materiali come i carri armati, soggetti alla distruzione, al danneggiamento. Il consumo serve alla sopravvivenza immediata, non all’investimento.
Ma l’Ucraina così fino a quando può resistere? Non si può almeno cominciare a pensare a un piano di riserva, a una soluzione alternativa alla guerra?
L’alternativa per uscirne è solo quella che i grandi si mettano a tavolino e decidano cosa fare. Se aspettiamo che russi e ucraini si mettano d’accordo, aspetteremo per anni. A un certo punto subentrerà anche una cristallizzazione della vicenda: la situazione andrà bene a tutti, purché non ci siano grossi eventi. Il problema è che i grandi sono paralizzati: negli Usa non si sa chi prevarrà, l’Onu non ha una linea precisa e la Ue non ha una vera politica estera.
E la Nato?
L’Alleanza atlantica è inchiodata, non sa cosa fare in Ucraina. Solo gli inglesi hanno le idee chiare. Gli altri aspettano cosa dicono gli Usa. Nel 2024 sono state programmate una ventina di esercitazioni, che verranno presentate come dimostrazione di grande forza e unità. Comportano un rischio, perché sono provocazioni ideologiche, ma servono per mascherare che non abbiamo le capacità per metterci in campo aperto contro la Russia, né di appoggiare l’Ucraina per riprendersi la parte di territorio occupata da Mosca. Le esercitazioni nascondono l’imbarazzo per il fatto che non sappiamo cosa fare.
La Turchia approva l’entrata della Svezia nella Nato, i Paesi Baltici annunciano strutture difensive comuni contro i russi. Il Nordest dell’Europa è diventato un nodo cruciale per l’Alleanza atlantica?
Sì. E l’attore principale di questo spostamento dell’attenzione dal Centro al Nord dell’Europa sono gli inglesi: mirano ad assumere la gestione delle forze atlantiche nel Nord dell’Europa. Lo fanno anche con accordi bilaterali di difesa e cooperazione militare: hanno raggiunto intese con Lituania e Finlandia e lo stanno facendo con Polonia e Svezia. La chiusura del Mar Baltico alla base russa di Kaliningrad è un grosso progetto degli inglesi. Durante le esercitazioni ci saranno delle simulazioni in territorio polacco e lituano, proprio per negare la libertà di movimento dei russi nel Mare del Nord.
(Paolo Rossetti)
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