C’era una volta, anzi, “Ei fu”. Chi? Napoleone, quello Bonaparte. Ora, l’imperatore dei francesi, che sognava di esserlo di tutti gli europei, e forse anche di tutto il mondo, è imperatore sì, ma di una piccola isola dispersa nell’Oceano Atlantico. Roba da Piccolo Principe senza la commozione che ha saputo suscitare Saint-Exupéry.



Lui, Napoleone, voleva, almeno così si diceva, portare a compimento il progetto della Rivoluzione, quella francese: liberté, egalité e fraternité per tutti. Ma, come osservò una volta il poeta russo esule in America Josip Brodski, non aveva capito la differenza tra liberazione e libertà. Liberazione è qualcosa che puoi ottenere attraverso una lotta contro un potere ingiusto, o più raramente attraverso una grazia ricevuta. Libertà è la condizione ottenuta che implica una tua responsabilità. Di per sé la libertà è un modo di essere anche quando non tutti i processi di liberazione fossero compiuti. È quello che ci hanno testimoniato tanti santi ed eroi che hanno vissuto un’ingiusta prigionia.



Per fare un esempio molto, molto semplice, che possono capire anche i giovani studenti: è come quando finisce l’anno scolastico e uno sente un forte senso di liberazione che normalmente si concretizza, all’inizio, con una grande dormita fino a mezzogiorno; ma poi, dal secondo o terzo giorno di vacanza, si apre la questione di come vivere questa libertà.

Ma Napoleone, quello Bonaparte, non era certo là in vacanza.

Anche stamattina il suo vecchio attendente Gerard, ormai rintronato da una cannonata dei Prussiani a Waterloo, lo aveva svegliato come al solito: “Buon giorno, mio imperatore. Sono le sei del mattino di una splendida giornata. Vi porto l’omaggio di tutto il popolo e la fedeltà nel servizio di tutta la Vecchia Guardia”.



Povera Vecchia Guardia! Quelli che non erano morti in battaglia, privati anche della pensione, si erano ridotti a cercare un lavoro qualsiasi; qualcuno dei più fortunati faceva la guardia, sì, ma a qualche monastero, in cambio di cibo e di un modesto alloggio.

Purtroppo qualcuno, ma questo era meglio non dirlo a Napoleone, aveva tradito e aveva giurato fedeltà ai nuovi padroni dell’Europa. Già, i padroni dell’Europa, sovrani che non avevano meritato il potere sui campi di battaglia, ma l’avevano ereditato per un discutibile diritto divino.

Sui campi di battaglia avevano mandato vecchi generali, che a loro volta, il più delle volte, avevano mandato al loro posto giovani soldati, felici (si dice, mah) di morire per la patria.

Quanto al popolo su cui Napoleone si era ridotto a esercitare la sua autorità, a parte alcune spie travestite da servitori, c’erano solo pochi pescatori e un vecchio prete che non aveva accettato di aderire alle nuove unità pastorali.

Napoleone non era uno stupido, questo lo sapevamo anche senza che ce lo dicesse Manzoni, ma faceva finta di credere a quello che diceva Gerard per non contristarlo.

Napoleone ogni tanto ripensava agli errori che aveva compiuto. Ma perché gli era saltato in mente di conquistare la Russia?

Pur non avendo potuto leggere di trattati di geopolitica, in particolare quelli dell’ammiraglio Mahan e di Mackinder (perché non erano ancora stati scritti), Napoleone per primo aveva pensato che il controllo dell’Europa, o meglio dell’Eurasia, forse del mondo intero, non dipendesse tanto dal controllo dei mari, in cui dominava l’Inghilterra, ma dalla conquista del centro del mondo, lo “heartland” identificato con la Russia. Già, ma conquistare il cuore del mondo non era così facile, come lo era stato per il cuore di tante donne del tempo. Sappiamo tutti come finì la campagna di Russia, lo sanno anche tutti quelli che ci riprovarono 150 anni circa più tardi.

Una sera, una delle tante sere passate da solo a meditare, Napoleone ebbe un’apparizione.

Non era la Madonna e neppure un angelo, ma le anime di tanti suoi soldati caduti in battaglia o congelati durante la ritirata. “Maestà, presenti! Siamo i vostri soldati. Non ce l’abbiamo con voi perché ci avete fatto morire. Saremmo morti, come tutti, e senza ‘glorie’. Saranno sicuramente più arrabbiate le nostre mogli e le nostre fidanzate. Maestà, qui abbiamo incontrato, tra gli altri, molti veri profeti che ci hanno raccontato che altri dopo di voi tenteranno le vostre imprese, in particolare un tedesco, un certo Adolf Hitler e un georgiano-russo, Iosif Stalin, nonché uno che la Russia ce l’aveva già, un certo Vladimir Putin. Il primo penserà di essere Dio e per questo combatterà contro tutti, in particolare contro gli ebrei, ma anche contro la Chiesa. Il secondo penserà a un mondo senza Dio, una grande fabbrica dove i lavoratori, tutti uguali perché tutti forzati a lavorare per il futuro, non potranno godere del presente. Il terzo forse penserà di essere lui Dio, forse quello destinato a celebrare la fine del mondo. Maestà, un’ultima cosa che vorremmo dirvi, frutto della devozione che abbiamo sempre avuto verso di voi. Qui dove siamo abbiamo trovato all’ingresso una grande scritta: ‘Che conta all’uomo conquistare il mondo intero se poi perderà se stesso?’. Credeteci, Maestà, noi siamo sempre disponibili al vostro servizio, ma Voi, per primo, cercate di conquistare voi stesso”.

E fu così che Napoleone, quella sera, come poi scrisse un suo fan, Alessandro Manzoni, alzò per la prima volta lo sguardo, non per dominare un mondo che non gli apparteneva, ma per avere dal cielo un conforto. E “Venne una man dal cielo,/ E in più spirabil aere/ Pietosa il trasportò”.

Leggi e medita, Putin!

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