Se, come dicono molti analisti, l’ex presidente russo Medvedev non ha alcun ruolo politico significativo, ma solo quello di dire ciò che Putin pensa ma non può esternare, allora le sue ultime uscite ci devono preoccupare: “La Russia ha il diritto di utilizzare armi nucleari, se necessario, in base alla dottrina nucleare, senza chiedere il permesso a nessuno, senza bisogno di lunghe consultazioni”. La svolta davanti a una minaccia detta e ripetuta più volte sta nelle sue parole successive: “Anche se l’aggressione con l’uso di armi convenzionali minaccia l’esistenza stessa del nostro stato”.



Non ci sarebbe dunque bisogno, come era sempre stato fin dai tempi della Guerra fredda, che uno stato utilizzi per primo l’arma nucleare contro la Russia. Con i referendum ormai conclusi nel Donbass che sanciranno l’annessione di quei territori, Mosca avverte che non sarà tollerato il proseguimento della guerra, perché sarebbe un conflitto contro la Russia. “Putin ha bisogno di negoziare” ci ha detto il generale Marco Bertolinigià comandante del Comando operativo di vertice interforze e della Brigata Folgore in numerosi teatri di guerra, dalla Somalia al Kosovo e all’Afghanistan, “perché con l’annessione del Donbass otterrebbe ancor di più di quanto si era prefissato a inizio conflitto. A questo punto potrebbe dichiarare una tregua unilaterale che lo metterebbe in posizione di vantaggio”.



Le parole dell’ex presidente russo Medvedev preludono a un ulteriore inasprimento nel possibile utilizzo di armi nucleari. La Russia potrebbe usarle, ha detto, anche davanti a un attacco con armi  convenzionali e non nucleari. Data la sua lunga carriera militare, lei ha mai visto una situazione analoga?

Che io sappia no, ma anche prima, da quando è cominciata la Guerra fredda. L’unico episodio che viene richiamato regolarmente ogni volta che si parla di armi nucleari è la crisi dei missili di Cuba del 1962. In quel caso l’Italia aveva un ruolo diverso da quello di oggi, c’era al governo Fanfani e l’Italia stessa, in sinergia con la Santa Sede, elaborò un piano che avrebbe portato poi alla fine della crisi.



Davanti alle parole di Medvedev invece che reazione ha?

La minaccia dell’uso di armi nucleari si era capita nel momento in cui la Russia ha deciso di sottoporre i territori occupati al referendum per l’annessione. Nel momento in cui dovessero essere annessi, è chiaro che la Russia si riterrà libera di utilizzare tutte le forze necessarie, tra cui anche l’opzione nucleare.

Medvedev dice anche che la Russia non tollererà il dispiegamento di armi nucleari ai suoi confini. La Nato nei paesi dell’ex blocco sovietico non ne ha, giusto?

No, non ce ne sono. C’è anzi polemica per quanto riguarda la presenza di armi nucleari in Italia e in Germania, secondo alcuni perché violerebbero gli articoli I e II del Trattato di non proliferazione nucleare, cosa a cui gli Stati Uniti hanno sempre risposto che quelle armi sono controllate dal proprio personale e che in caso di guerra il Trattato cesserebbe di avere significato.

Tornando alla crisi di Cuba da lei citata, se allora si registrò un grande sforzo da parte italiana e della Santa Sede, oggi purtroppo, a parte qualche telefonata di Macron a Putin, nessuno sembra in grado di poter fare altrettanto, perché sembra che tutto sia in mano agli Stati Uniti, è così? Anche il Papa fa delle esortazioni, ma è ben diverso da quanto fece allora Giovanni XXIII, che ne dice?

Il Vaticano allora aveva un peso non solo morale, ma anche politico decisamente più importante di quello che ha adesso. Oggi, a mio avviso, quella del Papa, politicamente, viene percepita come una delle tante voci che si sentono. Allora Giovanni XXIII parlò anche con una enciclica, la Pacem in Terris, proprio sulla proliferazione di armi nucleari. In Italia, poi, avevamo una classe politica di grande spessore, benché fossimo usciti da poco dalla guerra. Oltre ad avere un ottimo rapporto con gli Usa, godevamo di una credibilità non indifferente. Ricordiamo la figura di Mattei: la sua Eni era uno strumento della nostra politica importantissimo, che ci metteva addirittura in concorrenza con le “sette sorelle” petrolifere. Allora l’Italia nel contesto internazionale aveva un peso, oggi non è più così.

C’è in realtà un personaggio, e sembra l’unico, che si sta muovendo a livello internazionale: il presidente turco Erdogan. Stando a quanto ha dichiarato, Putin gli avrebbe confidato di voler aprire un tavolo di trattative. E’ credibile?

La Russia ha bisogno di arrivare a un negoziato, non sono entrati in questa guerra con l’intento di occupare l’Ucraina, perché non hanno mai usato forze sufficienti per farlo. Putin puntava a una operazione militare veloce che sfociasse in un negoziato. Questo non è successo, ma il negoziato rimane sempre la priorità, e adesso la Russia vede che questa finestra si apre.

Perché?

L’Ucraina con questa strana controffensiva – strana perché non ci sono state grandi battaglie campali, i pochi russi in quella zona si sono ritirati in buon ordine – ha ottenuto un successo non solo tattico, ma anche di immagine, il che consente a Kiev di sedersi a un eventuale tavolo non con il cappello in mano, ma in una posizione di forza.

E da parte russa?

Da parte russa, a una eventuale dichiarazione di annessione del Donbass seguirà una dichiarazione secondo cui gli obiettivi sono stati conseguiti ancor più di quanto preventivato con l’annessione di Kherson e Zaporizhia. In quel caso Putin potrebbe decidere di dichiarare unilateralmente la fine delle operazioni, mossa che lo metterebbe in posizione di vantaggio: infatti, chiunque dovesse poi rompere quella, ne sarebbe il responsabile e colpevole.

I problemi interni che si sono scatenati dopo la mobilitazione parziale hanno un peso in questa decisione di trattare? Al Cremlino oggi ci sono più falchi o colombe?

L’interesse ad arrivare a un negoziato non è di Putin, è della Russia stessa. Quanto al fatto che al Cremlino ci sia una corrente che spinga per il negoziato è più probabile che ci sia una corrente che spinge per la guerra. Ma una guerra a oltranza non porta da nessuna parte e diventa incontrollabile. Credo ci siano spinte del genere condivise da Putin stesso.

(Paolo Vites)

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