I cittadini di Donetsk, Lugansk, eccetera alla fine si sono riuniti. C’erano tutti, più o meno, tranne quelli che sono morti. C’erano tutti: filorussi, filoucraini, filopalestinesi. All’inizio il cosiddetto “dialogo” non è stato per nulla facile: in confronto certe riunioni di condominio della Milano-bene sarebbero sembrate il tè delle cinque che si offre in certe case di Londra. Gli insulti (per lo più alle rispettive madri, secondo la tradizione russa) le recriminazioni, la minaccia di sospendere “i colloqui”, ma alla fine erano rimasti tutti, tranne i filopalestinesi che evidentemente avevano sbagliato riunione.
Si, perché in fondo tutti, da tempo, avevano desiderato questo incontro. Senza i rispettivi padrini, o avvocati. Un incontro dove, dopo essersi insultati (la cosa era già stata messa in preventivo), sarebbe venuto il momento di cominciare a mettersi d’accordo. Su una cosa erano già stati d’accordo. Troviamoci tra di noi. Tutti quelli che dicono che ci vogliono bene e poi ci aiutano ad ammazzarci, lasciamoli fuori. Perché il nostro destino deve essere deciso dai russi, dagli ucraini, dai cinesi, dagli americani e noi che siamo tutti quelli di qui, un po’ russi, un po’ ucraini, moltissimi di famiglie miste, e non solo russo-ucraine, ma nate da quel tipico cocktail sovietico dove non mancano anche i tatari, i kazaki e un po’ di georgiani?
Ed è stato proprio così che dopo aver eletto capo provvisorio uno che aveva il padre russo, la madre ucraina, e i due nonni rispettivamente di Erevan e di Almaty, è cominciata la parte “costruttiva” dell’incontro. All’inizio è stato necessario fare il conto dei danni, indipendentemente da chi li aveva fatti. In fondo non è che le case di Milano distrutte dai bombardamenti dei liberatori anglo-americani fossero meno distrutte di quelle fatte saltare per rappresaglia dai tedeschi. Alla montagnetta di San Siro sono state sepolte tutte insieme in pace, ma al loro posto ora ci sono luoghi come la piazza Gae Aulenti.
E così anche quelli di Donetsk, Lugansk, eccetera hanno cominciato a cercare di calcolare quanto denaro sarebbe stato necessario per ricostruire “tutto”. Già, ma dove trovarlo? Qualcuno, pacifista, ha osservato che in fondo adesso tutti possedevano molte, costosissime armi che si potevano rivendere a qualcuno intenzionato a farsi una guerra. Magari proprio ai palestinesi. Già, ma il filo-palestinese era già andato via. Qualcun altro, più realista, ha cominciato a fare l’elenco di tutti quelli che hanno promesso aiuti per la ricostruzione. E in fondo non si trattava di chiedere la carità, perché quasi tutti gli offerenti avevano detto che “voi state combattendo (e morendo) anche per la nostra libertà”.
Purtroppo, sul più bello, è suonata la sveglia e mi sono accorto che tutto quello che ho scritto era un sogno, forse creato da quel cotechino con le lenticchie che la signora Luciana aveva preparato per la cena. Peccato, perché in fondo quel sogno (come il cotechino) non era poi male.
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