L’8 maggio 1995, ero da pochi mesi arrivato in Kazakistan, fui invitato in una scuola della periferia di Karaganda (a sua volta estrema periferia dell’URSS). Si teneva la celebrazione del 40esimo anniversario della vittoria nella “Grande guerra patriottica”. Così nell’ex URSS ancora oggi chiamano la Seconda guerra mondiale. Io ero là, onorato per essere l’unico straniero invitato, ma per la verità anche un po’ imbarazzato per essere uno che veniva da un paese “fascista” sconfitto da loro. Non fu semplicissimo spiegare ai ragazzi che non tutti gli italiani erano stati fascisti e che, anzi, mia madre aveva preso parte attiva alla Resistenza.



Il momento più imbarazzante fu verso la fine della cerimonia quando il solito ragazzino impertinente chiese ai suoi insegnanti: “Scusate, ma perché noi che abbiamo vinto la guerra siamo ridotti così male e quelli lì che l’hanno persa, stando anche a quello che mi racconta mio zio che è emigrato in Germania, stanno molto meglio di noi?” La risposta degli adulti fu un impacciato silenzio, cui seguirono una serie di sguardi che, alla fine, caddero su di me. “Chiediamo al professore italiano cosa ne pensa?”



Avendo afferrato al volo che in pochi secondi mi giocavo il mio futuro in quel Paese, aiutato da una illuminazione che forse veniva dall’Alto, risposi: “Vedi, Sashulka, voi avete vinto la guerra ma avete perso la pace. Noi abbiamo perso la guerra, ma, forse, abbiamo vinto la pace”. Ulteriori spiegazioni, per fortuna, non furono richieste.

Mi è venuto in mente questo episodio, ed è per questo che ve l’ho raccontato, perché recentemente, pare, si sia aperto uno spiraglio per un dialogo su un possibile “cessate il fuoco” in Ucraina. Il cessate il fuoco non è la pace, ma potrebbe esserne un inizio. Questo avviene quando si comincia a capire che, come ha detto Papa Francesco, nessuno alla fine potrà dire di avere vinto dopo aver contato le vittime e le distruzioni. Infatti avrei voluto ricordare al piccolo ragazzo kazako che parlare di vittoria quando l’URSS ebbe un numero di morti quattro volte superiore alla Germania (se non ho sbagliato il conto) ed in più il rafforzarsi di un regime di oppressione da cui da poco si erano liberati…



Ecco, anche adesso ben venga un cessate il fuoco, ma poi bisogna preparare una “pace giusta” rispettosa il più possibile delle migliaia di morti, per lo più giovani, che la guerra ha preteso. Una pace giusta non può essere quella dei vincitori, anche perché nel caso della guerra in Ucraina di vincitori difficilmente ce ne sarebbero. Una pace giusta non può essere che quella di un compromesso accettabile, o meglio accettato per un bene superiore. Già, ma quale “bene superiore”? L’onore dei capi? Quello delle nazioni? Quello dei protettori dei capi delle nazioni?

Proprio il clamoroso fenomeno che appare in questi stessi anni delle emigrazioni di massa da molti Paesi ci insegna che alla gente, al popolo, non importa gran che dell’onore dei loro capi e delle loro nazioni. Fuggono alla ricerca di un futuro migliore per sé e per le loro famiglie.

E se fosse proprio questo lo spunto per cominciare a pensare ad una possibile “pace giusta”?

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