Questa guerra in Ucraina “bestiale, barbara e sacrilega”, come ha detto il Papa, è come una lente di ingrandimento di una realtà che già c’era. Come è successo con la pandemia, rivela la nostra fragilità radicale, che cerchiamo di nascondere con il nostro nichilismo gioioso, prigionieri del nostro benessere; la precarietà della vita, quanto siamo vulnerabili; le nostre contraddizioni e quelle della nostra società.



Ciò che più ha sorpreso e colpito tutti è il coraggio e la forza del popolo ucraino: il fattore umano è decisivo e sorprende chi non credeva che ci fosse ancora qualcuno disposto a lottare per la libertà, con una fame e una sete di giustizia che ci riempiono di meraviglia. “Siamo stati ‘costretti’ a prendere coscienza della natura irriducibile dell’io… il cuore non si arrende al potere”. Di fronte alla pretesa del Potere che ci vuole anestetizzare e atrofizzarci, la loro testimonianza può svegliarci, come fa sempre la realtà, ci dice J. Carrón.



Tutte le guerre hanno le loro ragioni e il loro fascino; ma solo la pace ha ragione.

Le strategie maldestre e presuntuose della Nato hanno almeno contribuito ad accendere la miccia della follia di Putin. L’Occidente non è innocente in questa guerra. E il nostro sistema politico ed economico occidentale mostra le sue contraddizioni, basti come esempio del suo egoismo l’aumento del prezzo del carburante il giorno dopo il rialzo del petrolio: tutti pensano a come fare soldi con la guerra. O si pensi alla violenza di chiedere di poter uccidere i bambini nel grembo materno; di forzare e finanziare i cambi di sesso nell’illusione che questo risolva le tensioni di una mancanza di identità o di maturità; o come trattiamo i migranti con i quali non ci identifichiamo. Cresce la violenza, cresce la povertà (anche se alcuni ciechi non vogliono vederla), crescono i suicidi e il malessere profondo della gente, soprattutto dei giovani.



Come già con il coronavirus, con questa guerra cerchiamo di distrarci cercando ogni giorno “notizie”, possibilmente favorevoli dal fronte militare. Come se le notizie potessero coprire il nostro bisogno di “capire” il male nel mondo e sconfiggerlo, o trovarne una ragione; o di fingere di eliminarlo incolpando il “cattivo” di turno, quando in realtà il male si annida nel cuore di ciascuno di noi. Quanta propaganda di guerra! E anche quanto pacifismo a buon mercato… È inutile odiare o insultare Putin se la violenza si annida nei nostri cuori.

Nemmeno servono a molto le sanzioni, né la speranza che l’Ucraina possa vincere questa guerra con l’aiuto militare, ma sostanzialmente lasciando massacrare il Paese. Chi chiede più sanzioni – anche se ovviamente necessarie – dovrebbe chiedersi quanto del proprio benessere personale è disposto a sacrificare per questo. Inutile gridare per chiedere più sanzioni e non essere disposti a rinunciare all’aria condizionata, come denuncia Draghi. Serve molto realismo, pensando anche all’economia, alle persone più vulnerabili, non danneggiando completamente i canali di dialogo, offrendo paradossalmente una via d’uscita al satrapo di turno. La giustizia non è opera degli uomini; e ci vorrà tempo, come con la caduta dell’impero sovietico.

È possibile un dialogo o vinceranno le posizioni massimaliste? E quando? Gli orrori dei massacri (russi soprattutto, ma non solo) ci allontanano dalla pace. Dobbiamo chiedere la pace, sapendo che difficilmente sarà una pace “giusta”: speriamo che sia almeno una pace equilibrata. Dobbiamo pensare a come ricostruire l’amicizia con il popolo russo (non con i suoi satrapi post-sovietici, anche se la strada per la pace deve ora passare da loro).

Il gesto più realistico, consapevoli della nostra incapacità di risolvere i problemi e di darci la pace, è chiedere, aprirci alla Verità di Colui che ispira il nostro cuore ed è Signore della storia: “Ogni volta che la vita si apre a Dio, la paura non può più tenerci in ostaggio” ha detto papa Francesco nell’atto di consacrazione di Russia e Ucraina al Cuore Immacolato di Maria, che abbiamo pregato insieme a tutta la Chiesa il 24 marzo. Appena due anni dopo di quando il Papa ha pregato, da solo, in piazza San Pietro vuota, per la fine della pandemia: un’immagine potente della realtà in cui viviamo.

Il nostro problema è che spesso “partiamo dalle nostre certezze e, solo quando le perdiamo, andiamo da Dio. La Madonna, invece, ci insegna a partire da Dio, nella fiducia che così tutto il resto ci sarà dato”. Il Papa ha già denunciato che la terza guerra mondiale è iniziata “a pezzetti”, quello che succede è che ora l’abbiamo drammaticamente più vicina: e ci spaventa (se succede in Siria, in Yemen, in Congo, eccetera, sembra che non disturbi troppo). E la minaccia di una guerra nucleare sta diventando sempre più possibile. Alla base del nostro disagio c’è l’idea insopportabile della possibilità di dover soffrire una guerra nucleare, con la paura e l’orrore che suscita in noi.

Che cosa può vincere questa paura?

C’è un esempio impressionante nella storia di fede e di speranza più forti della paura: Takashi e Midori Nagai, i coniugi cristiani giapponesi. Lei moriva “evaporata” dall’esplosione nucleare di Nagasaki (rimasero solo poche ossa e il rosario che stava pregando, mezzo fuso); lui, radiologo, che si salvò perché stava lavorando in ospedale, che aveva spesse pareti di cemento (per proteggere l’esterno dalle radiazioni interne), sebbene fosse già mortalmente ammalato di leucemia per le radiazioni subite nel suo lavoro, avendo introdotto la radiologia in Giappone. Ma perse la casa, la moglie, tutto meno i due figli. Il miracolo è che, avendo perso tutto, dopo aver aiutato come poteva i feriti e i malati, ha saputo dare un senso al disastro della bomba atomica sul Giappone. Ha saputo interpretare il disastro non solo come una punizione per l’imperialismo giapponese, ma anche come un sacrificio di espiazione, poiché la bomba cadde (per errore) sul quartiere cristiano di Nagasaki, distruggendo la cattedrale, che egli contribuí a ricostruire il più presto possibile. Ha saputo dare un senso all’orrore e al dolore, tornò ad abitare nella zona più colpita in una baracca di quattro metri quadrati e in voluta povertà. E così restituì speranza ad un intero paese spezzato e mortalmente ferito nelle sue convinzioni; e anche a un’intera umanità traumatizzata dall’orrore nucleare. Ho conosciuto la loro  storia grazie alla bellissima mostra al Meeting di Rimini 2019.

Una buona notizia è che si è costituita un’associazione per la beatificazione dei coniugi Takashi e Midori Nagai, riconosciuta dal Vescovo di Nagasaki.

Di fronte a tante immagini e notizie di morte, violenze e distruzioni in Ucraina, con diversi milioni di rifugiati e migliaia di morti, gli attacchi deliberati ai civili per seminare il terrore, impedire che medicine e cibo raggiungano gli ospedali che sono anche bombardati, tutti ci chiediamo perché Dio permette questo. La stessa vecchia domanda di Giobbe di 2500 anni fa.

C’è un altro testo di impressionante realismo sul significato del dolore umano, quasi insondabile per noi e al quale tutti ci ribelliamo, che è la materia prima della redenzione, se uniamo il nostro dolore a Cristo. Tutto si illumina contemplando la Croce di Cristo. Si tratta di un brevissimo scritto del beato don Carlo Gnocchi, il sacerdote che accompagnò i suoi studenti quando andarono in guerra in Russia, con una terribile ritirata dove morirono quasi tutti, e che in seguito si prese cura dei bambini orfani e mutilati di guerra. Lui si interrogò sul mistero di questo dolore innocente a cui dedicò il resto della sua vita; e trovò la risposta nella Croce.

Il padre Miguel Ángel Fuentes, I.v.e., commenta magistralmente il libretto di don Gnocchi: “Carlo Gnocchi esamina il mistero insondabile del dolore dell’innocente e dei giusti alla luce del dolore di Cristo e l’inestimabile valore redentore del sacrificio di una pura vittima. Le maggiori obiezioni contro il dolore nascono da una concezione esclusivamente individualistica e punitiva del dolore stesso, che pensa che nell’uomo la sofferenza sia una questione del tutto personale ed un’espiazione rigorosamente misurata dalle colpe individuali. Ma niente di più falso di questo nella concezione cristiana della realtà”. “Nell’economia cristiana, l’umanità forma un’unità viva, solidamente unita in un unico e identico destino, compartecipe del bene e del male di ciascuno dei suoi membri; un corpo mistico che segue le stesse leggi del corpo fisico, dove salute e malattia, benessere, malessere, vita e morte sono comuni a tutti i membri. Nell’economia della redenzione cristiana, il dolore dell’uomo è complemento necessario al dolore e alla morte redentrice di Cristo: ‘Completo nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo’ (Col 1,24)”.

Allora l’ultima parola nella nostra vita quindi non è l’orrore del male, del peccato, del dolore, del disastro che siamo noi uomini, ma piuttosto la misericordia di Dio che riempie di senso anche il nostro dolore. Questo è ciò che siamo chiamati a vivere ogni Settimana Santa, ogni Messa. Un Dio che muore sulla Croce ci restituisce senso, speranza e anche felicità (che è gioia e dolore offerti). È Lui che aspettiamo? O, se no, Chi stiamo aspettando?

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