La cosa positiva di snodi epocali e drammatici come quello che stiamo vivendo è che non necessitano di commenti. Basta elencare i fatti, uno dopo l’altro. E chi vuole capire, lo fa. Quantomeno, a livello di dubbio. Ma altresì, giunti a questo punto trova compimento l’imperativo brechtiano della resistenza come dovere. Morale, prima di tutto. Anche prima che politico. Dunque, Mario Draghi non solo è andato a Washington senza passare prima dal Parlamento, ma, stando al retroscena pubblicato da un organo di stampa notoriamente informatissimo sulle questioni Usa come La Repubblica, avrebbe confermato a Joe Biden che l’Italia è pronta a un embargo energetico totale verso la Russia già da domani mattina. 



Tutti d’accordo i partiti che compongono la maggioranza? E Confindustria? Ma non basta, il presidente del Consiglio avrebbe trattato senza alcun mandato parlamentare anche i temi spinosi dei rapporti con Libia e Cina. Tutto bene in commissione Esteri, a parte la querelle patetica legata all’aver scoperto l’acqua calda rispetto alle posizioni del suo Presidente? Signori, chiudiamo il Parlamento. Altro che taglio dei deputati, spranghiamo la porta di Montecitorio e Palazzo Madama. Ormai sono aule sorde e grigie. Tutti i poteri a palazzo Chigi e finiamola di prenderci in giro. 



Ma la questione si amplia e si complica quando in contemporanea con la presa di posizione personale del Primo ministro a Washington spacciata come idem sentire a nome dell’intero Paese, Ursula von der Leyen decide di bypassare ogni tipo di confronto e controllo democratico e, dopo una call con il presidente Zelensky, annuncia urbi et orbi che una valutazione sull’ingresso di Kiev nell’Ue verrà fornita già a giugno. Praticamente, domani. Insomma, l’Ucraina non ha nemmeno terminato di compilare il mitico questionario con la richiesta e già ottiene risposta. Come la prenderanno, ad esempio, Albania e Serbia? Democrazie ed economie più evolute e integrate con il sistema europeo dell’Ucraina, ma, nonostante questo, da anni occupate a far anticamera a causa dei veti incrociati e degli esami del sangue che giustamente si fanno ai candidati che un domani godranno di diritti e doveri (e fondi strutturali) importanti. 



Senza contare che l’ingresso di Tirana e Belgrado garantirebbe una camera di compensazione straordinaria alla polveriera del Kosovo, poiché una volta divenuti membri i due Stati smetterebbero con le dispute e si siederebbero giocoforza a un tavolo. Il motivo? Estremamente volgare ma efficacissimo, lo stesso che ha fatto smettere di saltare in aria i tralicci in Alto Adige: soldi. Gli stessi che Kiev potrebbe però ricevere già a strettissimo giro di posta, perché in contemporanea con la visita a Washington di Draghi e con il proclama motu proprio della von der Leyen, ecco che la solita gola profonda di Bruxelles ha fatto filtrare a Bloomberg l’indiscrezione su una discussione già in fase avanzata per una nuova emissione di eurobond da 15 miliardi di controvalore finalizzata a un primo piano di ricostruzione dell’Ucraina. Il tutto alla luce di un preventivo approssimativo reso noto dal Presidente Zelensky che parla di 600 miliardi di dollari per sperare in un ritorno alla normalità pre-bellica del Paese. 

Ma non basta. Perché oltre a essere notoriamente uno dei Paesi più corrotti al mondo, in tal senso parla chiaro la classifica di Transparency international, l’Ucraina ha anche già un bel conto aperto con il Fmi per cercare di rinviare il default. E chi fu a garantire una proroga delle scadenze e, anzi, un’accelerazione degli esborsi, addirittura già al Governo-fantoccio di Poroshenko? Joe Biden nella sua funzione diplomatica precedente allo sbarco alla Casa Bianca. Lo stesso Joe Biden che è padre di Hunter, un giovanotto di belle speranze e con qualche segreto di troppo custodito nel laptop. In compenso, il Congresso Usa ha dato via libera al nuovo pacchetto da 40 miliardi di dollari per l’Ucraina. Warfare per contrastare la recessione, il tutto dopo che il Presidente ha annunciato la creazione di una task force contro l’inflazione, la stessa che fino all’altro giorno era negata e definita transitoria. E quale miglior scorciatoia di una bella recessione epocale per far contrarre la domanda e schiacciare violentemente al ribasso il prezzo delle commodities, in modo da non costringere la Fed a fare davvero ciò che sta continuando a minacciare a parole e che manderebbe del tutto al tappeto Wall Street? Magari, mettendo così in crisi le casse di Mosca. 

In compenso, mentre Mario Draghi entrava alla Casa Bianca accolto come l’uomo che ha saputo tenere insieme Ue e Nato, l’ente ucraino per la gestione della pipeline che dalla Russia porta il gas in Europa avvisava che dalle 7 di ieri mattina uno dei due punti di transito veniva chiuso. Motivo? La presenza nell’area dell’esercito russo, quindi un pericolo. Casualmente, parliamo della provincia separatista di Lugansk. Casualmente, Kiev pare aver deciso che il ricatto energetico non debba essere più una prerogativa unica di Mosca. Forse qualcuno ha deciso di mettere una pressione insopportabile sulle spalle dell’Ue, così da far rientrare da subito l’ammutinamento verso la linea oltranzista emersa dal G7 e dalla Nato? 

Signori, davvero ancora credete che quanto sta succedendo sia unicamente riconducibile alla logica dell’invaso e dell’invasore, davvero vi basta il rasoio di Occam dell’Impero del Male tornato in grande stile dagli armadi della Storia? Davvero non vedete dietro a tutto quanto accaduto in sole 24 ore il dipanarsi di un’agenda parallela, l’accelerazione drammatica di un programma già scritto e che ora necessita di essere concretizzato? Se è così, allora state pure tranquilli. Altrimenti, evitate di cadere nell’errore madornale di prendervela con Mario Draghi. Lui sta semplicemente eseguendo pedissequamente – e al meglio, occorre riconoscerlo – il ruolo per cui è stato messo a palazzo Chigi. Dovete chiedere conto ai partiti che pur di mantenere una poltrona e non affrontare la realtà del voto, mantengono la spina del suo Governo attaccata. E non credete alla balla del salto nel buio e della crisi da spread, in caso di caduta dell’esecutivo. Per come sta messo il mondo, nessuno a Bruxelles e Francoforte ora può permettersi il lusso di un altro 2011 per l’Italia. Nel bene e nel male, il nostro debito è un elefante troppo grande. Per tutti. Germania e Francia – anzi, le loro banche – in testa. 

Se non ora, quando? Mai più, meglio esserne consci. 

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