Caro direttore, forse è il caso di fare un punto. Il Presidente degli Stati Uniti ha definito il suo omologo del Cremlino un macellaio, proseguendo il suo profondo e raffinato ragionamento politico con la conclusione che non possa quindi restare al potere. La storia recente della politica estera Usa parla chiaro al riguardo: regime change, formuletta molto raffinata per evitare quel brutto termine che è golpe. Il quale, badate bene, è anch’esso concetto a geometrie variabili: contro Muhammar Gheddafi o Saddam Hussein andava bene, contro Salvador Allende no. Medesimo mandante, in compenso. D’altronde sono quelli della guerra umanitaria e dell’ingerenza democratica, i maestri dell’ossimoro. Comunque sia, il Cremlino non l’ha presa bene: questi russi sono davvero suscettibili, addirittura vogliono scegliersi da soli chi li governa e non accettare di buon grado la decisione di un politico del Delaware arrivato a Pennsylvania Avenue col voto postale. In tal senso, si capisce perché gli americani amino così tanto noi italiani: qui non abbiamo mai avuto nulla da ridire sull’eterodirezione.
Immediatamente, la Casa Bianca ha dovuto mettere una pezza, essendosi illuminata la simbolica spia della guerra nucleare: il Presidente non ha invocato un regime change, semplicemente ha detto che non può restare al potere chi invade i Paesi confinanti. Insomma, l’America manda in giro un uomo dotato di codici nucleari che – di fatto – straparla. O, quantomeno, non si rende conto di quel che dice, tanto da obbligare l’istituzione che presiede a chiarirne il pensiero in tempo reale. Insomma, il Presidente Usa ha bisogno della badante diplomatica. Non c’è che dire, siamo in ottime mani.
Ovviamente, la stampa italiana ha glissato sulla gaffe a rischio war games del loro editore occulto di riferimento. Anzi, in alcuni casi, dopo averla definita incauta, ne ha però lodato i contenuti e il loro effetto a lungo termine nella lotta contro il Male. Idem la politica, su tutti basti il tonante ma alla base dell’argomentazione di Enrico Letta per capire. L’ordine di scuderia è chiaro, è colpa di Putin. A prescindere. Forse anche per la siccità. Peccato che i leader europei degni di questo nome, a differenza dei nostri, abbiano immediatamente preso le distanze da Joe Biden. E alzato un muro di quelli in grado di sgretolare in un nanosecondo la presunta graniticità di intenti emersa dal vertice Nato di Bruxelles.
Pubblico mea culpa per i miei giudizi affrettati su Emmanuel Macron: chapeau, l’inquilino dell’Eliseo assolve egregiamente al suo compito principale. Ovvero, tutelare gli interessi di Francia e francesi. Qui, nel frattempo, saltano fuori incredibili altarini. Ad esempio, la missione sanitaria russa a Bergamo durante la prima ondata di Covid sarebbe stata nulla più che un’operazione di spionaggio sotto copertura medica. Non importa che a negarlo siano stati gli stessi Servizi segreti in sede di Copasir (tutti traditori al soldo del Cremlino anche gli 007? E se sì, perché allora si voleva candidare al Colle la loro numero uno?), se lo decidono Corriere, Repubblica e Stampa deve essere così. E come avrebbero architettato la loro missione, i russi? Cercando dati sul virus. Ovvero, operando come gli scienziati e i ricercatori di mezzo mondo.
E per quanto possa apparire un concetto complicatissimo da afferrare per menti abituate a ben altre vette di pensiero, il fatto che Bergamo sia stata l’epicentro della prima ondata – l’avanguardia mortale e tristemente indimenticabile – di quella che solo dopo è divenuta pandemia, forse rende abbastanza naturale che chi era qui a dare una mano volesse capire con cosa avesse a che fare. Magari volevano solo trarre vantaggio per sviluppare prima il loro vaccino, lo Sputnik? Maledette spie del Big Pharmosky del Cremlino! Se anche fosse, la priorità non era quella di sviluppare uno, due, tre, cinquanta vaccini e cercare di salvare vite? Non fare la gara a chi arrivava per primo. O forse no? Perché certi numeri di Pfizer e soci, certi trials a tempo di record, certe certificazioni all’acqua di rose, certi effetti collaterali ammessi solo a mesi di distanza, certi profitti stellari e soprattutto certe manleve di Stato in caso di eventi avversi parlerebbero una lingua differente. Lo Sputnik quantomeno è di Stato, disponibile per tutti e con il Governo russo come garante: se succede qualcosa, paga e ne risponde. Certo, il pagamento in rubli a qualcuno fa schifo. Meglio lasciare la gente a casa dal lavoro senza aver il coraggio di imporre l’obbligo vaccinale, se non quando ormai erano impossibili ulteriori salti mortali rispetto ai rigidi confini tracciati da quell’intralcio chiamato Costituzione. E non basta. La missione russa avrebbe cercato anche l’accesso a edifici pubblici di Bergamo, attività eversiva prontamente bloccata dalle istituzioni locali e nazionali.
Ora, mettiamoci d’accordo. O la Russia è la patria di hackers talmente potenti, finanziati dallo Stato e raffinati da bloccare i sistemi informatici di mezzo mondo – come ci raccontano dalle elezioni Usa del 2016 – oppure è ridotta alla preistoria dello spionaggio ed è costretta a missioni sotto copertura per infiltrare falsi medici e sanificatori nei luoghi pubblici, magari con i baffi finti e le parrucche sotto i camici. Tertium non datur. Ora, siamo seri e scusatemi il francesismo ma a volte occorre parlare in maniera chiara: ma cosa ci sarà di così strategico all’anagrafe o al municipio di Bergamo da far scomodare l’intelligence di Mosca? Vogliono imparare come gestire le prenotazioni on-line per le carte d’identità? Ritengono il catasto orobico degno di studio al dipartimento di Alta scuola della Pubblica amministrazione dell’Università di San Pietroburgo? Signori, se davvero Mosca è la capitale mondiale dei pirati informatici, forse sarebbe stato più facile hackerare tutte le banche dati degli ospedali e delle AST di Bergamo e Lombardia per rubare i dati, cosa dite?
E poi, la perla. Forse non lo sapete, ma in Italia, dalla scorsa settimana, leggere Kant garantisce una sorta di scudo legale dall’applicazione delle leggi Scelba e Mancino. Per chi se lo fosse perso, infatti, le contorsioni onanistico-intellettuali di Repubblica sono arrivate a questo vertice di sublime perversione: il quotidiano che normalmente chiede l’intervento dei Caschi blu quando Casapound traccia una celtica con lo spray sul muro, pubblicava un’intervista con il capo del Battaglione Azov e ci comunicava che costui – nonostante le rune nei simboli e i proclami in difesa della razza bianca e cristiana, nemmeno troppo velatamente antisemiti – sia da considerarsi un nazista sui generis, quasi accettabile, poiché legge Kant ai suoi soldati. Ora, la leggenda narra che Radovan Karadzic declamasse versi di William Shakespeare durante l’assedio di Sarajevo: se trovate un articolo in cui questo gli abbia garantito un’attenuante, persino generica, dall’accusa di genocidio e crimini di guerra, vi prego di segnalarmelo.
Signori, mi fermo qui. Perché c’è il forte rischio che la messe di ridicolo alla fine copra e infanghi il dramma di quanto sta avvenendo. Anzi no, un’ultima cosa. Mi piacerebbe che chiedeste conto agli apologeti degli elmetti e dei boots on the ground di questo. Come notate, fonte Il Sole 24 Ore, giornale difficilmente arruolabile tra i filo-Putin. Come il sottoscritto, in base alla nuova divisione del mondo fra buoni e cattivi. I quali, quantomeno, hanno la decenza di non nascondersi dietro Kant per non ammettere di aver venduto ben altro che l’anima a interessi che con la libertà e la sicurezza degli ucraini non hanno nulla a che spartire. Ma proprio nulla. Tipo il gas e il petrolio, tanto per non scomodare sostantivi.
Ognuno tiri pure l’acqua al suo mulino e serva il suo padrone, alla fine è sempre andata così. Ma per favore, lasciamo fuori l’eroica resistenza del popolo ucraino da un gioco con cui si sporca le mani soltanto a pensarlo. Da qualunque parte della barricata ci si collochi.
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